Il 6 dicembre le serrande del McDonald’s in piazza San Babila si abbasseranno per sempre, chiudendo così una storia urbana e culturale che ha segnato i giovani degli anni Ottanta.
Un angolo di America trapiantato a Milano, che nel 1981 diventa una delle prime città a convertirsi alla cultura del cibo veloce e unto statunitense: qui, infatti, apre Burghy, il primo approccio al fast food Made in Italy e presto l’avvento del consumismo a stelle e strisce si integra perfettamente in una “Milano da bere” in cui i giovani faticavano a trovare il proprio posto.
Da questo incontro fatidico nasce una subculture tutta italiana, quella dei paninari, un’emblema che scriveva la parola fine alle divisioni per ideologia politica tra i più giovani e che sceglieva proprio Burghy come suo quartier generale.
La divisa dei paninari? Scarpe Timberland, piumini Moncler, giacche stile montone e cappotti oversize, accessori Naj-Oleari e zaino Invicta, intramontabili Levi’s retti da cintura El Charro.
Come racconta al Corriere della Sera Isabella Toniolo, ex-dipendente Burghy e ora sindacalista Filcams-Cgil: “Quando Burghy aprì, molti scommettevano sul suo fallimento. Che ci facciamo noi italiani con gli hamburger? Invece fu una scommessa vincente”. Il panino più richiesto? “Il Big Burghy ovviamente: doppia porzione di carne bovina 100 per cento, gustoso formaggio, cipolle e lattuga. Buonissimo. Quando abbiamo servito l’ultimo ho pensato: andrebbe conservato in una teca, anzi in una capsula per il futuro“.