Da Pharrell Williams a Sabato de Sarno, l’alta moda sta imparando a conoscere i successori di alcuni dei suoi più grandi innovatori, Virgil Abloh e Alessandro Michele, ma per adesso l’aria di novità non ha ancora convinto del tutto consumatori e opinionisti.
Ciò che principalmente confonde è la natura ormai contradditoria e ambivalente dell’alta moda: dedita al profitto e teoricamente emblema della creatività, popolare ed elitaria, concreta e concettuale, la fashion odierna deve districarsi attraverso prospettive raramente affini.
Alla base di questo contrasto inconciliabile c’è il regime sotto cui l’intera industria creativa è costretta a operare: se il profitto è la motivazione e il fine di ogni processo artistico, infatti, è impossibile che l’immaginazione, la creatività e lo spirito di innovazione possano fiorire ed esprimersi in totale libertà; ciò corrisponderebbe a rischiare, qualcosa che potenzialmente potrebbe danneggiare non poco i guadagni di numerose realtà economiche.
Una moda al servizio del consumatore, dunque, ma che al tempo stesso non riesce a connettersi con la clientela, sempre più interessata al passato delle grandi maison e non alle proposte attuali, immerse in un contesto sterile, poco genuino e, fondamentalmente, guidato unicamente dal denaro.