Escludendo il fallimento mediatico e politico della campagna per il turismo Open to Meraviglia, la rielaborazione dell’arte attraverso i social media e il mondo digitale è un’innovazione dagli effetti spesso positivi e rivoluzionari.
Si tratta di un nuovo paradigma, in cui la cultura diventa un prodotto da far avvicinare al pubblico e non un qualcosa di sacro e intoccabile: esempio lampante di questo nuovo stile comunicativo è l’account TikTok delle Gallerie degli Uffizi, che ha da poco raggiunto i 160mila followers e in cui le grandi opere d’arte della storia trovano una nuova dimensione espressiva, ironica e complice con il linguaggio di un’audience sempre più giovane e vasta.
Ciò ha permesso agli Uffizi di costruire una solida fetta di pubblico, tanto da renderlo uno dei musei favoriti tra i nativi digitali; similmente anche la Tate Gallery di Londra ha aperto le proprie porte alla vita digitale e mondana, organizzando eventi serali e DJ set, mentre il MET di New York ha affermato la propria presenza sul web grazie all’annuale appuntamento del MET Gala.
Non c’è, tuttavia, il rischio che questi metodi banalizzino l’arte? Avvicinarla al grande pubblico e calarla in contesti comici non equivale a renderla, appunto, un mero contenuto?
A questa domanda risponde Ilde Forgione, la mente dietro alla pagina TikTok degli Uffizi.
Intervistata da NSS Magazine, infatti, Forgione spiega minuziosamente il proprio piano d’azione per reagire alla grande assenza di bambini e adolescenti nei musei.
“I più giovani non investono il tempo libero per visitare musei e monumenti, nonostante la possibilità di farlo gratuitamente fino ai 18 anni” evidenzia la social media manager. “Dovevamo parlare il loro stesso linguaggio e per questo abbiamo delineato un codice comunicativo appositamente per loro”.
Come conferma Forgione, metodi simili erano già stati applicati al MET, al Van Gogh Museum, al Rijksmuseum di Amsterdam, all’Albertina di Vienna e persino al MArTa di Taranto: la comunicazione scelta da questi enti conferma l’intenzione di coinvolgere la comunità nella vita del museo, trasformandone le attività in una nuova realtà quotidiana.
“Bisogna pensare che la comunicazione funziona se centra il target di riferimento“, conclude Forgione. “Le critiche, anche a casa nostra, sono arrivate perlopiù dagli studiosi e dai critici dell’arte, cioè da parte di coloro che non sono il pubblico target delle campagne di comunicazione. […] L’apprezzamento c’è stato nel mondo della scuola, rispetto al quale ho personale esperienza di insegnanti, istituti ed enti che hanno promosso la conoscenza della storia dell’arte tramite la comunicazione social dei musei“.