L’industria del lusso globale inizia a percepire i primi scricchiolii di una fase ben più complessa del previsto. Dopo il crollo delle Borse di ieri, i mercati tentano oggi un rimbalzo, ma sull’intero comparto aleggia il rischio di una brusca inversione. A lanciare l’allarme è un nuovo studio della società di analisi Bernstein, che ridisegna radicalmente le stime per l’anno prossimo: il settore, inizialmente atteso in crescita del 5%, potrebbe invece contrarsi del 2%.
Secondo gli analisti, i grandi marchi non potranno più contare solo sulla spinta dell’aspirazione, ma dovranno prepararsi a resistere a un urto che arriva su più fronti.
Dazi, inflazione e sfiducia: i tre assi della tempesta
Al centro del cambiamento ci sono diversi fattori: un contesto macroeconomico instabile, la pressione di un’inflazione che non accenna a rientrare e, soprattutto, un sentimento di sfiducia crescente da parte dei consumatori. A pesare maggiormente, però, sono gli effetti inattesi delle nuove politiche commerciali statunitensi: il ritorno in auge di misure protezionistiche, con l’amministrazione Trump pronta a reintrodurre tariffe medie del 23% sulle importazioni, sta già lasciando il segno.
Una mossa che, più che colpire direttamente la Cina, sembra avere effetti a catena sull’intero equilibrio globale. Gli esperti parlano ormai apertamente di un’evoluzione dal “disaccoppiamento” economico tra Washington e Pechino a una forma di isolamento strategico degli Stati Uniti.
Mercati nervosi e consumi in bilico
Le ricadute non si sono fatte attendere. L’instabilità ha innescato un aumento della propensione al risparmio e una riduzione degli investimenti, mentre le banche centrali vedono diminuire lo spazio di manovra per ulteriori tagli ai tassi. A pagarne il prezzo è anche l’acquisto “aspirazionale”, quello su cui il lusso ha costruito gran parte del proprio boom post-pandemico.
Bernstein ha così corretto con decisione le stime per il prossimo anno, tagliando le previsioni di crescita di ben sette punti. Una svolta che, se non sorprende più gli operatori di mercato, conferma però una tendenza allarmante: la compressione dei margini e l’urgenza di ripensare i modelli di business.
Quattro scenari possibili, uno prevalente
Il report presenta quattro scenari per il 2025, con probabilità molto differenti:
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Best Case (5%): ripresa americana, inflazione sotto controllo e relazioni commerciali distese.
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Base Case (30%): rallentamento lieve, tassi fermi, consumi prudenti ma non in caduta.
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Worst Case (50%): recessione, dazi permanenti, contrazione della domanda.
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Black Swan (15%): inflazione fuori controllo, crollo del PIL globale, fine della globalizzazione così come la conosciamo.
Lo scenario più probabile resta, per ora, quello peggiore. Una situazione che impone ai gruppi del lusso di agire con cautela e lungimiranza.
Titoli del lusso: chi tiene e chi cede
Nel dettaglio, l’analisi restituisce un quadro molto variegato. Hermès e Richemont continuano a distinguersi per solidità, grazie a scelte di prezzo oculate durante la pandemia e a un posizionamento di fascia alta che protegge meglio in tempi turbolenti.
LVMH, sebbene in difficoltà, ha già toccato i minimi degli ultimi cinque anni, suggerendo un possibile punto di ripartenza. Ferrari – caso a parte – ha fatto sapere che riverserà i costi dei dazi sui clienti, segnale di un pricing power intatto e di una clientela disposta a pagare il prezzo dell’esclusività.
Decisamente più esposti i marchi come Swatch, Prada, Moncler, Kering e Burberry. Gli ultimi due, in particolare, si trovano ai minimi storici degli ultimi cinque anni, senza chiari segnali di rimbalzo.
Strategie da ripensare, resilienza come parola chiave
La sfida per il 2025 sarà quindi tutta nella capacità di reazione. Secondo Bernstein, la tenuta delle aziende dipenderà da tre fattori chiave: l’adattabilità ai nuovi comportamenti di consumo (che premiano esperienze, valori e sostenibilità); l’efficienza gestionale e di costo; la forza del marchio e la sua capacità di imporsi sul prezzo.
Per un settore abituato a crescere a ritmi sostenuti, si profila un cambio di paradigma: non si tratta più di correre, ma di resistere. E, in molti casi, di reinventarsi. La corsa del lusso, insomma, non è finita. Ma la strada, da qui in avanti, si annuncia tutta in salita.