Con la mostra ‘Luigi Ghirri. Zone di passaggio. Discrete semioscurità nelle opere di Mario Airò, Paola di Bello, Paola De Pietri, Gregory Crewdson, Stefano Graziani, Franco Guerzoni, Armin Linke, Amedeo Martegani, Awoiska van der Molen’, palazzo dei Musei di Reggio Emilia propone fino al 2 marzo 2025 una riflessione sull’opera di Luigi Ghirri attraverso un ampio percorso dedicato al tema del buio, che si propone di raccontare l’importante ruolo che questo riveste nell’immaginario collettivo e come fonte di ispirazione in fotografia e non solo.
L’esposizione, curata da Ilaria Campioli, fa parte del programma di Fotografia Europea e pone al centro una selezione di 56 immagini di ambientazione notturna che Ghirri ha realizzato nel corso della sua produzione e che narrano di “luoghi illuminati in maniera provvisoria, spazi che vivono una loro discreta semioscurità e che solo temporaneamente diventano luminosi in maniera festosamente provvisoria”, capaci di sollecitare l’attivazione di una lettura alternativa del reale.
Una questione nodale nell’opera dell’artista è quella del progetto, che diventa nel complesso un singolare momento di riflessione sul pensiero, sulla poetica e sulla visione progettuale dell’autore.
Per Luigi Ghirri la fotografia è un’avventura del pensiero e dello sguardo, una riflessione che egli introduce nel suo scritto ‘L’opera aperta’, del 1984, un testo fondamentale per comprendere la sua poetica, oggetto di una conferenza tenuta alla Sorbonne.
“La fotografia […] penso che sia un formidabile linguaggio visivo per poter incrementare questo desiderio di infinito che è in ognuno di noi. Come ho detto prima, una grande avventura del pensiero e dello sguardo, un grande giocattolo magico che riesce a coniugare miracolosamente la nostra adulta consapevolezza e il fiabesco mondo dell’infanzia […]. Borges racconta di un pittore che, volendo dipingere il mondo, comincia a fare quadri con laghi, monti, barche, animali, volti e oggetti. Alla fine della vita, mettendo insieme tutti questi quadri e disegni, si accorge che questo immenso mosaico costituiva il suo volto. L’idea di partenza del mio progetto -opera fotografica può paragonarsi a questo racconto. L’intenzione di trovare una cifra, una struttura per ogni singola immagine che nell’insieme, però, ne determini un’altra. Un sottile filo che leghi autobiografia ed esterno”.
Luigi Ghirri, cresciuto in un clima concettuale, fin dai primi anni Settanta aveva maturato alcune fondamentali convinzioni intorno al ruolo della fotografia nell’ambito dell’arte contemporanea. L’interesse si era spostato dall’abilità necessaria all’artista nel creare manualmente l’opera verso la coincidenza tra l’opera e la realtà registrata dalla macchina fotografica, in un processo che aveva spesso fatto riferimento al ready made di Marcel Duchamp e alla scrittura automatica dei surrealisti.
Per Ghirri sono dunque i bagliori, i lampi e le piccole intermittenze, ad esempio quelle delle lucciole, ad esprimere le migliori modalità di illuminazione, perché mantengono intatta la percezione di quell’oscurità troppo spesso cancellata in favore di una illuminazione da “set cinematografico dove sembra sparire tutta la magia e il fascino della luce”.
Se il buio al centro della ricerca di Ghirri, le micro-rotture, generate da improvvise illuminazioni capaci di rivelare quel rapporto tra luce e buio celato nella natura, intrecciano un dialogo che amplia la riflessione grazie ai progetti di una serie di autori contemporanei di fama internazionale. Sono le discrete semioscurità di Mario Airò, Gregory Crewdson, Paola di Bello, Paola De Pietri, Stefano Graziani, Franco Guerzoni, Armin Linke, Amedeo Martegani e Awoiska van der Molen che, nella eterogeneità delle loro tecniche, approcci e sguardi, indagano le zone di passaggio tra buio e luce, spazi di possibilità spesso caratterizzati da una natura precaria e transitoria i cui bagliori, aperture e illuminazioni aprono a nuove configurazioni.
Il rapporto tra luce e buio costituisce un tema centrale e imprescindibile nella storia del procedimento fotografico. L’affrancamento dal buio, permesso dalle diverse tecniche di illuminazione artificiale, ha consentito di estendere la possibilità del medium non soltanto in termini di capacità di produzione stessa delle immagini, ma ampliandone l’utilizzo in luoghi o scarsamente illuminati come catacombe e grotte, o in luoghi dapprima inaccessibili all’occhio del fotografo.
Ideale fil rouge delle riflessioni offerte dai diversi progetti degli autori presenti in mostra è il manuale, visibile nell’esposizione, dal titolo “La photographie à la lumiere artificielle”, opera pubblicata nel 1914 da Albert Londe, pioniere della cronofotografia e della fotografia scientifica, che si presenta come un compendio delle numerose tecniche di illuminazione pre elettriche ad uso della fotografia. Il manuale, di cui è in mostra una copia in edizione originale, rivela una profonda fascinazione per la luce, indagata nelle sue componenti materico-alchemiche, in relazione a quell’oscurità dalla quale essa emerge per poi ritornarvi e dissolversi.
In occasione della mostra, Palazzo dei Musei declina il tema del buio e della notte con ‘Passaggi notturni’, a cura di Silvia Chicci, aperta fino al 29 settembre prossimo che, attraverso l’occhio delle fototrappole, indaga l’attività degli animali nei boschi.
La mostra, organizzata in collaborazione con il Parco nazionale dell’Appennino tosco Emiliano, costruisce un dialogo con le ricche collezioni naturalistiche del Museo, valorizzandole attraverso una lettura inedita, capace di sfruttare le moderne tecnologie.
Il crepuscolo e la notte sono per molti animali il tempo privilegiato per entrare in attività; al calare del buio prede e predatori escono dai ripari per nutrirsi e cacciare sfruttando i propri sensi appositamente affinati per orientarsi nell’oscurità. Presenze silenziose e discrete, protette dal buio della notte, percorrono sentieri e boschi, campi, spingendosi fino alle periferie abitate dall’uomo.
Appena oltre le zone di passaggio tra luce e buio, tra uomo e natura, care a Luigi Ghirri, è la fototrappola a documentare un mondo notturno attivo e popolato. Lo studio condotto negli ultimi trent’anni dal personale dell’attuale Parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano è stato finalizzato a documentare anche attraverso il fototrappolaggio il ritorno del lupo dal crinale alla pianura e ha consentito di acquisire migliaia di filmati che documentano, anche a breve distanza dalla città, l’attiva presenza di lupi, cinghiali, tassi, volpi, istrici, aprendo lo sguardo su una notte molto abitata.
La mostra è promossa dal Comune di Reggio Emilia, in collaborazione con l’Archivio Eredi Luigi Ghirri.