“Attenzione. Online gira un video in cui la mia immagine, riprodotta dall’intelligenza artificiale, viene usata per pubblicizzare un piano dentale. Io non c’entro, è tutto falso”.
Con queste parole Tom Hanks si rivolge ai suoi 9,5 milioni di followers su Instagram, avvertendoli di un suo clone digitale apparso in uno spot di un’assicurazione dentistica e riaccendendo il dibattito sempre più attuale e controverso riguardo alle applicazioni dell’intelligenza artificiale.
Dai deep fakes (come quello di Hanks) fino ai generatori di voci, le potenzialità dell’intelligenza artificiale si muovono parallelamente ai suoi rischi, una dinamica di per sé abbastanza grave per instillare panico e diffidenza nel grande pubblico e per innescare vere e proprie crisi all’interno dell’industria dell’intrattenimento.
Oltre all’uso improprio dell’immagine altrui, infatti, gli abusi dell’AI possono nuocere alle pratiche creative che caratterizzano numerose professioni grazie a una continua generazione di contenuti; è questo, per esempio, uno dei motivi fondanti dello sciopero di sceneggiatori e attori della scorsa primavera e di questa estate.
Gli scrittori della Writers Guild of America hanno vinto la propria causa il 25 settembre, grazie a un’intesa (ancora da definire completamente) tra le alte sfere della SAG (il capo negoziatore Duncan Crabtree-Ireland e la presidente del sindacato Fran Drescher) e i CEO Bob Iger di Disney, David Zaslav di Warner Bros. Discovery, Donna Langley di NBCUniversal e Ted Sarandos di Netflix.
Regolamentare l’uso dell’intelligenza artificiale sembra essere l’unica soluzione, ma se i prodotti letterari sembrano aver trovato una soluzione momentanea, pare ancora lontana una tutela efficace per l’immagine delle figure pubbliche.