L’asso nella manica di un buon investitore è inaspettato, ma non casuale: per proteggersi dall’inflazione o per diversificare il proprio portfolio il fine wine è considerato un “bene rifugio”, perché per natura portato ad aumentare di valore con il passare del tempo e a diminuire sul mercato, essendo un bene materiale consumabile.
Lo conferma l’indice azionario, che registra una lieve flessione (4%) del Liv-ex 1000, l’indice dei vini pregiati; un ottimo investimento, dunque, secondo i parametri di Oeno Group, gruppo internazionale leader nel settore, che riporta cifre che, nell’arco di quindici anni, potenzialmente raggiungerebbero un valore di ritorno pari a 670.061 dollari a partire da un investimento di 50mila dollari.
Tra i massimi esponenti di questa fetta di mercato l’Italia si distingue per più scambi commerciali e per possedere il 16% dell’intero mercato, dietro soltanto al Bordeaux (40,5%) e alla Borgogna (20,4%); i vini italiani più ricercati sono i Supertuscan, in grado di offrire rendimenti costanti e bassa volatilità, seguiti dai vini piemontesi (in particolare dal Nebbiolo) e da vini provenienti da Veneto, Abruzzo e Umbria.
Oltre all’Italia e alla Francia, altri paesi fortemente coinvolti nel mercato del fine wine sono la Spagna (Rioja e Ribera del Duero), lo stato della California (Napa e Sonoma), l’Australia, l’Argentina, il Cile, la Germania, il Portogallo, il Sudafrica e la Nuova Zelanda.