La leggenda narra che durante un pellegrinaggio presso l’abbazia benedettina di Saint-Hilaire, Pierre Pérignon avesse scoperto un metodo di vinificazione per rendere il vino frizzante; quando tornò al suo monastero si mise a sperimentare il sistema e insegnò la tecnica ad altri monaci. In realtà Pérignon non inventò lo champagne per come lo conosciamo oggi, anche se gli va comunque riconosciuto il merito di avere lavorato a lungo sul vino per migliorarne le qualità.
Eppure, nel suo lavoro di cantiniere presso l’abbazia benedettina di Hautvillers, il monaco del XVII secolo ha avuto un ruolo importante nello sviluppo delle tecniche che sono alla base dello Champagne moderno.
Oggi, lo storico lavoro del frate è l’ispirazione principale per Vincent Chaperon, chef de cave di Dom Pérignon. Una fusione di “tradizione e modernità” descrive lo spirito dell’abbazia oggi, “dove è nato lo Champagne moderno” (e dove lo stesso Pérignon ha scavato la cantina in profondità nel gesso per conservare le sue bottiglie).
Come sanno gli appassionati, la maison ha fondato la sua reputazione sui vini d’annata, al contrario delle cuvée multi-vintage.
Il successo della miscelazione, quindi, è questione di scegliere i migliori micro-siti in un determinato anno, tra centinaia di blocchi di livello Grand Cru che Chaperon tiene nel suo “kit”.
Tutto ci porta all’annata 2012 di Dom Pérignon,ora disponibile nelle migliori enoteche. È un vino, secondo Chaperon, “pieno di contrasti e contraddizioni” partito da un “inverno aggressivo” e seguito da un pieno sole estivo. Ed è vero: lo Champagne è caratterizzato da acidità ma anche generosità, consistenze piacevoli, concentrazione e maturità. Si apre con una bella salinità seguita da un susseguirsi di fiori bianchi, frutta, complessità erbacea e mineralità.
Oltre al 2012, Dom Pérignon quest’anno si è superato rilasciando un’annata più vecchia, la 2003, nell’ambito del suo format Plénitude P2, basato sulla convinzione che nell’arco della vita di un vino, ci sia più di un momento in cui esprime il massimo carattere. Secondo Chaperone, “la maturazione sui lieviti è un momento di costrizione, perché il vino sviluppi complessità”. Allo stesso tempo, nelle sue parole, “il lievito trasferisce energia in modi misteriosi”. Solo quando quella complessità ed energia entreranno in equilibrio (come è successo per il 2012) la casa rilascerà un’annata. Ma c’è un momento, anni dopo, in cui il vino può entra in una seconda vita (non tutte le annate lo fanno), quando parla più forte ed espressivo – quando è più lungo, più profondo, più intenso, e ha ancora più vitalità ed energia – questa è “Plénitude 2” nella vita di un’annata di Dom Pérignon.
Potrebbe essere un po’ controintuitivo pensare a un vino, soprattutto frizzante, che prende energia con l’invecchiamento, ma il P2 del 2003 è meravigliosamente fresco e teso in questo momento. La mineralità attesa e la frutta secca lasciano il posto a un carattere di citronella. Al palato è potente, profondo e strutturato. Il gelo precoce e una brutale ondata di caldo tardivo hanno portato a rese basse ma di qualità.