Il connubio irresistibile tra cinema, alta moda e la splendida Serenissima inizia nel 1932, poco dopo l’avvento degli Oscar nella dorata Hollywood dell’epoca, grazie a un’intuizione del Conte Volpi di Misurata, il padre fondatore della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia: impossibile non chiedersi se il Conte avesse immaginato che oggi, a 79 anni dal suo inizio, il Festival avrebbe goduto di una popolarità e di un’importanza simile.
Un evento culturale e sociale, in grado di resistere a due guerre mondiali, ai disordini e alle crisi di matrice tutta Italiana e a una pandemia mondiale, che appare più scintillante e prestigioso che mai e, soprattutto, che ricorda a presenti, protagonisti e spettatori l’importanza del cinema.
“Da domani non esisterà più il cinema! Pensate se i giornali titolassero così: sarebbe il panico. La nostra vita sarebbe vuota. Ecco perché siamo qui di nuovo in tanti, perché abbiamo bisogno del cinema e delle sue storie”, afferma infatti l’attrice, nonché madrina del festival, Rocío Muñoz Morales durante la cerimonia d’apertura di questa 79esima edizione.
In queste parole possiamo trovare ciò che davvero compone il cuore del festival, in tutte le sue sfumature e derivazioni: l’evoluzione dell’evento ha mantenuto una vena autoriale, senza però rinunciare a un atteggiamento contemporaneo e aggiornato, più “mainstream” e pop, vicino a un pubblico sempre più ampio e variegato.
Ad avviare la componente cinematografica del festival è White Noise, lungometraggio diretto da Noah Baumbach, che ha conquistato pubblico e critica: basato sul romanzo Rumore Bianco di Don DeLillo, sul grande schermo le performance di Adam Driver (attore dal talento innegabile, asceso con la trilogia di Star Wars e poi deificato con Storia di un Matrimonio, House of Gucci e The Last Duel) e di Greta Gerwig (attrice acclamata, personalità venerata dal pubblico e regista dell’attesissimo film satirico Barbie, con protagonisti Ryan Gosling e Margot Robbie) hanno dipinto un mondo americano medio-borghese, in cui eventi inspiegabili e di tutti i giorni si legano in una trama capace di rendere il film un vero e proprio cult.
Dopo il debutto di White Noise, un’altra grande tematica ha investito la 79esima edizione del festival, quella dell’identità di genere.
Diverse prospettive ed esperienze si condensano così in un mosaico di storie, che sul grande schermo si caricano di autorità e accedono a una visibilità unica nel suo genere: tra le nuovi voci di questa rivoluzioni, troviamo Monica, di Andrea Pallaoro, in cui la protagonista (interpretata l’attrice transgender Trace Lysette) sceglie di occuparsi della madre morente, seppur in passato questa l’avesse rifiutata proprio per la sua identità transessuale, tema che caratterizza anche Le Favolose di Roberta Torre, lungometraggio concentrato sulle storie queer e bolognesi delle attiviste Porpora Marcasciano e Nicole De Leo; fuori dal coro la nuova proposta di Luca Guadagnino, che ci propone Bones and All, la storia di un cannibale bisessuale interpretato dalla sua musa, Timothée Chalamet, mentre il lato più realistico e storico del mondo queer si rivela grazie a Casa Susanna di Sebastien Lifshitz.
Infine un posto di grande importanza lo ricoprono i grandi nomi del lusso: dal red carpet a eventi studiati a d’hoc, Yves Saint Laurent celebra la grande carriera di Catherine Deneuve, premiata con il Leone d’Oro alla Carriera, dedicandole una mostra esclusiva che ne ripercorre la storia, mentre Chanel e Cartier volgono lo sguardo proprio al grande schermo, proiettando due cortometraggi completamente immersivi.