I dati verranno probabilmente ufficializzati nei prossimi giorni dal Consorzio di tutela astigiano – che rinnova i propri vertici oggi – ma secondo indiscrezioni le fascette consegnate ai produttori per l’imbottigliamento sono balzate dagli 87 milioni del 2019 a oltre 91 milioni nel 2020.
Il dato è ufficioso e, soprattutto, le fascette non indicano il venduto effettivo, però l’ottimismo è solido. «Abbiamo fatto molte più bottiglie dell’anno prima», conferma il presidente uscente Romano Dogliotti, che non nasconde la soddisfazione per questo risultato con cui chiude il proprio percorso alla guida del mondo Asti e Moscato d’Asti. «Adesso bisogna vedere come si evolve questa pandemia – prosegue Dogliotti – Certo lo vediamo nei numeri come i grandi produttori industriali vanno bene, trainati dalla gdo, mentre noi piccoli che abbiamo sempre lavorato con l’horeca perdiamo il 50 per cento».
Agricoli in affanno, l’export tira.
Le aziende agricole sono dunque strette nella morsa di una crisi dura di tutto il segmento ristorazione ed enoteche, a cui fa da contraltare la difficoltà di accesso alla Gdo. «La grande distribuzione ha recuperato quello che abbiamo perso noi – ammette il presidente uscente – La gente va al supermercato e acquista quello che trova, ma gli agricoltori non ci sono». E questo genera una notevole tensione, perché le politiche di promozione adottate dalla denominazione – a partire dalla campagna che ha come volto lo chef Alessandro Borghese – hanno dato una mano al mass market, ma poco hanno potuto nella valorizzazione dei piccoli produttori.
Nonostante il considerevole investimento in promozione – sul piano finanziario e di energie spese – messo in campo dal Consorzio, « l’Italia sta soffrendo di più rispetto ad altri mercati e la spinta è venuta soprattutto dall’export, USA in primis», conferma Dogliotti.
In effetti, se verranno confermate le indiscrezioni che danno in crescita una maison storica come Martini & Rossi tra USA e Russia, che da sola incrementa di oltre 6 milioni di bottiglie, si comprende come il mercato interno non sia in salute.
Se da un lato ci sono le grandi case spumantiere, dall’altro ci sono i produttori concentrati sul Moscato d’Asti che rivendicano il proprio apporto alla crescita. «Noi ci siamo battuti per mantenere solida la presenza di un vino del territorio come il Moscato d’Asti e i numeri ci danno ragione – rimarca Giovanni Bosco, presidente del Coordinamento Terre del Moscato d’Asti (CTM) – Negli anni 90 l’industria sembrava voler cancellare il Moscato d’Asti, invece ora i manager delle multinazionali si accorgono dell’importanza di un legame forte con le nostre radici». Secondo il combattivo Bosco, «se i volumi veri nell’Asti li fanno i grandi marchi industriali come Martini&Rossi, Cinzano, Gancia e Fontanafredda, che pubblicizzano l’Asti ma con il proprio logo forte, è il Moscato che tiene a galla i piccoli produttori. Eppure gli investimenti pubblicitari toccano solo minimamente il Moscato». Una denominazione che, senza una vera spinta, arriva a 35 milioni nel 2020.
In prospettiva, secondo Bosco il Moscato andrà a crescere e a sostenere la denominazione. «La prospettiva è buona e probabilmente arriveremo a 100 milioni di bottiglie con 50 di Asti e 50 di Moscato, lasciando indietro il prodotto di bassa qualità che in pandemia ha tenuto, ma che secondo me ha poco futuro», afferma. E il CTM ha proposto al Consorzio dell’Asti di sviluppare un progetto di valorizzazione della viticoltura eroica, «qualcosa di simile alle Rive nell’area del Conegliano Valdobbiadene – spiega – perché senza i piccoli viticoltori che lavorano con cura sulle colline più ripide, si rischiano frane ed erosione di un paesaggio che l’Unesco tutela, ma di cui i contadini si prendono cura ogni giorno».