La fast fashion è una vera e propria piaga moderna, che non soltanto arreca danni irreparabili all’ambiente, ma che distrugge vite umane, solidificando dinamiche di sfruttamento e alimentando condizioni di vita disastrose.
Numerose sono state le proteste e le iniziative di ambientalisti e autorità internazionali esplicitamente schierate contro i giganti di questa industria dal valore di miliardi, come il cinese SHEIN o gli europei H&M, Bershka e Zara, e finalmente il Parlamento Europeo sembra aver ascoltato le loro voci.
Infatti l’Europa ha dichiarato di voler applicare misure più severe per lottare contro la produzione e il consumo eccessivo di tessuti, che ogni anno raggiunge cifre da capogiro: si è calcolato, infatti, che soltanto in Europa si smaltiscano circa 5,8 milioni di tonnellate di prodotti tessili, indossati mediamente sette o otto volte prima di essere buttati.
La prima norma riguarda un controllo più rigoroso dei processi di distruzione dei capi invenduti, una pratica che, se regolamentata e controllata, permetterebbe una tutela efficace della biodiversità e del benessere degli animali, nonché una produzione inferiore di microplastiche; in secondo luogo, i parlamentari hanno evidenziato quanto sia essenziale occuparsi degli abusi sul lavoro dell’industria e della de-carbonizzazione di attività extra-europee.
A ostacolare i propositi europei sono i tempi della burocrazia, che rallenterebbero significativamente i tempi di introduzione e applicazione dei controlli, e l’opposizione di chi, invece, preferisce tutelare il grande guadagno economico derivato da queste imprese.