Il 24 aprile 2013 ha cambiato per sempre l’industria della moda e, soprattutto, ha costretto il mondo ad affrontare tragiche realtà di fabbriche fatiscenti, lavoratori sottopagati e inquinamento, che ancora oggi rappresentano l’unica esistenza possibile per alcune dimenticate porzioni di umanità.
Siamo in Bangladesh, nel quartiere industriale della città di Dhaka.
Qui torreggia un edificio otto piani, chiamato Rana Plaza, in cui operano cinque grandi produttori di abbigliamento per conto di brand di fama internazionale come Walmart, Zara, Mango e Benetton: un alveare di lavoratori, tessuto e macchinari, che scompare in pochi minuti quando Rana Plaza crolla su se stesso, causando oltre mille vittime e altrettanti feriti.
La tragedia segna non soltanto la storia del Bangladesh, ma quella di tutta l’umanità.
A dieci anni da questo tragico evento, le abitudini di acquisto e consumo di articoli di abbigliamento sono cambiate radicalmente, anche se l’ascesa di brand fast fashion come SHEIN ci dimostrano che esistono migliaia di Rana Plaza nelle aree più povere del mondo.
Il giorno successivo al crollo oltre 200 marchi firmano un accordo con i sindacati locali, vincolandoli legalmente a investigare, controllare e regolare le condizioni di lavoro delle fabbriche in Bangladesh: l’accordo prevede ispezioni indipendenti, un nuovo livello di trasparenza per quanto riguarda i risultati delle indagini, investimenti da parte dei marchi e, soprattutto, stabilisce i primi rapporti di responsabilità del settore.
Per quanto l’accordo abbia influenzato positivamente la sicurezza delle fabbriche tessili, gli standard di lavoro rimangono il punto debole (nonché fatale) del paese: secondo un report del movimento Clean Clothes Campaign (Campagna Abiti Puliti), nel 2022 più di 60 persone sono morte e quasi 600 sono rimaste ferite lavorando in fabbriche di abbigliamento e tessili in tutto il mondo.
Le nuove generazioni potrebbero però cambiare il settore, come spiega Michael Bride, vicepresidente senior per la responsabilità aziendale e gli affari globali presso PVH.
“Ci sono persone più giovani in arrivo, a cui vogliamo vendere i nostri prodotti, che sono molto più in sintonia con la giustizia sociale”, ha infatti dichiarato. “Questo influenzerà le decisioni di acquisto, forse non oggi o domani, ma lo farà. E per quei marchi che non lo prendono in considerazione, sarà una campana a morto”.