Quale paese europeo preferisce la moda eco-friendly a quella industriale? Chi segue la filosofia del “less is more” come un mantra inviolabile?
Uno studio presentato dall’Ifm-Institut français de la mode, in partnership con il salone Première vision, lo rivela. Prendendo come gruppo campione un totale di 6mila intervistati di cinque paesi occidentali leader nel consumo dei prodotti fashion, l’analisi ha identificato la sempre più crescente e innegabile importanza che l’eco-responsabilità ricopre, soprattutto in Italia.
Il 78% degli intervistati di nazionalità italiana, infatti, ha acquistato almeno un capo sostenibile nel 2021.
Cosa rende un capo d’abbigliamento “eco-friendly”? La risposta sembra variare a seconda del paese: se Francia e Stati Uniti riconoscono un capo in quanto “ecologico” basandosi sul paese di produzione, Italia, Germania e Regno Unito scelgono un abito piuttosto che un altro guardandone i materiali o la composizione.
“Il Made in locale è un elemento rassicurante perché si sa che in molti Paesi esiste una regolamentazione che protegge il consumatore, anche se la nozione di produzione nazionale non ha nessun legame diretto con la sostenibilità”, ha spiegato Gildas Minvielle, direttore dell’Observatoire economique de l’Ifm.
Il maggior ostacolo al circolare della moda sostenibile è la mancanza di comunicazione e informazione: i consumatori non hanno sufficienti dati per potersi attivamente interessare e impegnare nella ricerca di capi eco-friendly (come affermato dal 49% degli intervistati statunitensi, dal 40% di quelli francese e dal 36% di quelli italiani).
“C’è una mancanza di informazione sulle label (solo il 7% dei Paesi europei interrogati e 2,8% negli States è al corrente), ma anche sulle materie alternative. Il pubblico può dunque sentirsi diffidente. È necessario fare un lavoro di pedagogia. E le autorità europee stanno operando per definire dei brand che possano dare delle indicazioni immediate e chiare sul tasso di sostenibilità di un capo, sull’esempio di quello che è accaduto nell’alimentazione”, ha affermato Minvielle.
Tra i materiali di punta il cotone e il lino; assolutamente bandita, invece, la pelle, più tossica per l’ambiente secondo il 40% dei consumatori. Nella sfera del vestiario ecosostenibile anche i capi di seconda mano, ormai sempre più popolari e diffusi, soprattutto tra i più giovani.
Il paradigma è semplice: meno consumi, più qualità e più longevità.