Del Vecchio: la cassaforte di famiglia ancora in sospeso: nuova spaccatura
A distanza ormai di oltre due anni dalla morte di Leonardo Del Vecchio, la complessa partita dell’eredità e della governance della holding lussemburghese Delfin rimane lontana da una conclusione.
Quali sono le ragioni di questo protrarsi dello stallo? Come si sono ridisegnati i rapporti interni fra gli eredi? E soprattutto, cosa rischia il gruppo industriale controllato da Delfin?
Le radici dello stallo
Nel testamento aperto subito dopo il decesso, è stato stabilito che a ciascuno degli otto eredi – la moglie Nicoletta Zampillo, i figli Claudio, Marisa e Paola (nati dalla prima moglie), Leonardo Maria (nato dall’unione con la Zampillo) e Luca e Clemente (nati da altra relazione) – e il figlio della Zampillo da un precedente matrimonio, Rocco Basilico – venisse attribuita una quota pari al 12,5% di Delfin.
Tale parità nella distribuzione avrebbe dovuto agevolare la compattezza del gruppo azionario – tuttavia non è andata così.
Il problema centrale è che oggi la questione non riguarda tanto chi eredita quanto come si gestisce la holding, in particolare la governance e la modifica dello statuto societario. Tre eredi – Paola, Luca e Clemente – hanno posto condizioni: vogliono che prima della distribuzione effettiva dell’eredità si definiscano modifiche strutturali dello statuto (su temi come la durata del CdA o la soglia per la distribuzione dei dividendi). Altri, come Marisa e Leonardo Maria, preferiscono invece chiudere subito la successione e rinviare le modifiche statutarie a momento successivo.
Da questo diverbio deriva sostanzialmente il buco nell’intesa: senza accordo unanime sulle modalità operative, la holding resta operativa ma in uno stato di “stand by”.
Conseguenze industriali e strategiche
Se la situazione rimanesse così, il gruppo rischia una perdita di slancio nel momento in cui invece servirebbe chiarezza e decisione. Da una parte, la continuità è assicurata dalla presenza di figure manageriali – come Francesco Milleri, già alla guida di EssilorLuxottica – che permettono un funzionamento ordinario. Dall’altra, la mancata definizione dell’assetto di governo può indebolire la competitività e la visione a lungo termine.
Inoltre, l’assenza di decisioni potrebbe penalizzare la distribuzione dei dividendi: in una recente assemblea di Delfin, a quanto risulta, la distribuzione del dividendo 2023 è stata bloccata proprio a causa dei voti contrari degli eredi che chiedono prima garanzie.
Quali scenari per la chiusura del dossier?
La via d’uscita potrebbe passare da uno dei seguenti percorsi:
- Intesa interna negoziata: gli eredi trovano un compromesso su statuto e successione, chiudendo la partita e rendendo operativa una nuova governance.
- Intervento giudiziario o arbitrale: una causa già in corso, promossa da Francesco Milleri contro lo stato di graduazione dell’eredità, potrebbe sbloccare le posizioni.
- Stallo prolungato: senza accordo e senza impulso esterno, l’assetto resta invariato, consolidando una situazione di “holding dormiente” – che potrebbe culminare in perdita di opportunità industriali.
La vicenda Delfin dimostra come anche le grandi famiglie imprenditoriali possano trovarsi al bivio tra eredità e governance: sei miliardi – o più – non bastano se manca la volontà di trovare un accordo. Il gruppo industriale che Del Vecchio ha costruito merita chiarezza e una leadership definita: la tenuta futura dell’impero dipenderà non solo dal capitale, ma dalla capacità di mettere a regime un patto familiare moderno.


