Aleggia come un cattivo presagio la proposta della Corte Suprema Americana riguardo all’abolizione della storica sentenza “Roe contro Wade”, decisione che metterebbe in serio pericolo il diritto universale all’aborto negli Stati Uniti: se così accadesse, infatti, le regolazioni in merito all’interruzione di una gravidanza potrebbero essere modificate dai singoli stati, 26 dei quali apertamente anti-abortisti e profondamente religiosi.
Tra le voci che si sono levate in segno di protesta, quella del Gruppo Kering e in particolare della sua maison Gucci è stata forte e chiara: è inumano porre limiti costrittivi alla salute riproduttiva, in quanto un diritto fondamentale, e soprattutto inumano è generare paura e terrore nei cittadini, ora costretti a riflettere sul proprio futuro sul suolo americano.
Gucci ha promesso che rimborserà le spese di viaggio a tutti i dipendenti che si vedranno costretti a viaggiare da stato a stato per poter godere del diritto all’aborto e ha dichiarato che continuerà a supportare tutte quelle organizzazioni associate che facilitano l’accesso alla salute riproduttiva e proteggono i diritti umani, come ad esempio la fondazione Chime for Change, che in meno di un decennio ha raccolto oltre 19 milioni di dollari per progetti a sostegno di donne, ragazze e bambine in 89 Paesi del mondo.
Già nel 2019 la maison si era schierata a favore del diritto all’aborto e della tutela dei diritti delle donne durante la sfilata della collezione cruise a Roma: Alessandro Micheli, direttore creativo di Gucci, aveva fatto sfilare numerosi capi che, in modo più o meno esplicito, alludevano proprio a questi temi; iconica e più attuale che mai la scritta “My body, My choice” ricamata sul retro di una giacca apparsa in passerella.