Nelle Stanze della Fotografia, situate sull’isola di San Giorgio a Venezia, è allestita fino al 6 gennaio 2026 la mostra “Robert Mapplethorpe. Le forme del classico”, un’esposizione dedicata a una figura centrale – e per certi aspetti controversa – della fotografia contemporanea: Robert Mapplethorpe, nato a New York nel 1946 e scomparso a Boston nel 1989.
Curata da Denis Curti, direttore artistico de Le Stanze della Fotografia, la mostra pone l’accento – come ha evidenziato Luca Massimo Barbero, direttore dell’Istituto di Storia dell’Arte della Fondazione Cini – sull’eleganza e sull’affermazione stilistica dell’artista, piuttosto che sugli aspetti più espliciti e provocatori dell’erotismo per cui è comunemente noto.
Organizzata da Marsilio Arte e Fondazione Giorgio Cini, in collaborazione con la Robert Mapplethorpe Foundation di New York, la mostra rappresenta il primo capitolo di un ampio percorso di studio sull’artista. Questo includerà altri due eventi nel corso del 2026: la mostra “Robert Mapplethorpe. Le forme del desiderio” a Palazzo Reale di Milano, che sarà una grande retrospettiva sulle sue opere più iconiche e audaci; e “Robert Mapplethorpe. Le forme della bellezza”, in programma al Museo dell’Ara Pacis di Roma, dedicata alla bellezza classica, con una selezione di scatti realizzati in Italia e presentati per la prima volta.
Oltre duecento le fotografie in esposizione a Venezia, che accompagnano il pubblico in un viaggio attraverso la dimensione classica dell’opera di Mapplethorpe, mettendo in luce il suo dialogo con la scultura antica e la sua costante ricerca della perfezione formale.
La poetica dell’artista si manifesta in modo dirompente tanto nei nudi maschili e femminili quanto nei ritratti floreali, passando dai primi collage fino ai ritratti e autoritratti. Tutto ciò viene valorizzato anche grazie all’allestimento curato dal brand San Marco – leader nella produzione di vernici per l’edilizia professionale, partner delle Stanze della Fotografia e sponsor della Fondazione Cini – che ha scelto l’idropittura Antartica per questo progetto.
Alcune delle opere esposte sono presentate per la prima volta in Italia, rendendo omaggio all’artista americano e proseguendo idealmente il percorso iniziato dal curatore Germano Celant con la rassegna “Tra antico e moderno. Un’Antologia” (Torino, 2005), che reinseriva Mapplethorpe nel panorama artistico e culturale statunitense del secondo Novecento.
La componente classica della fotografia di Mapplethorpe trova espressione in una serie di confronti diretti con immagini di statue antiche, in cui i corpi, resi immortali dallo scatto, sono colti nella loro plasticità e perfezione senza tempo.
“Mapplethorpe – spiega il curatore Denis Curti – utilizza la fotografia come strumento per reinterpretare e rinnovare l’estetica classica, accentuando il dialogo tra la vitalità del corpo umano e l’ideale scultoreo. Le sue immagini trasmettono la grazia e la perfezione della scultura antica attraverso un uso sapiente della luce e del dettaglio, creando un ponte tra passato e presente. Le sue figure scolpite sono permeate da una sensualità sospesa, che mette in risalto la centralità del corpo nel linguaggio del desiderio. Con i suoi soggetti marmorei, Mapplethorpe riesce a far emergere una sensualità pulsante che rompe la rigidità della forma, donando nuova vitalità all’ideale classico.”
Le prime opere in mostra risalgono alla fine degli anni Sessanta e includono collage e Ready-Made inediti, ottenuti mescolando disegni e ritagli tratti da riviste omoerotiche, testimoniando fin dagli esordi l’inclinazione dell’artista per la sperimentazione.
La mostra include anche numerosi ritratti, tra cui la celebre serie dedicata a Patti Smith, ritratta in pose che mettono in risalto la sua figura androgina e la sua vulnerabilità, e quelli di Lisa Lyon, bodybuilder e musa dell’artista, che esplorano temi come la forza, la femminilità e l’identità.
Completano l’esposizione i ritratti di figure note come Truman Capote, Glenn Close, Richard Gere, Keith Haring, Yoko Ono, Isabella Rossellini, Susan Sarandon, Susan Sontag, Andy Warhol e David Hockney. Per Mapplethorpe, il ritratto diventa un altare visivo dove il corpo del soggetto viene trasfigurato e coinvolto in un gioco di attrazione e potere.
Particolarmente intensi e provocatori sono gli autoritratti, in cui l’artista si mette in scena utilizzando simboli forti, riflettendo sui confini tra identità personale e immagine pubblica.
Come lui stesso dichiarò: “Sono entrato nel mondo della fotografia perché mi sembrava il mezzo perfetto per commentare la follia dell’esistenza odierna”.