Sono trascorsi oltre sessantasei anni dalla prima vendemmia dell’azienda, ma ciò che colpisce è una costante: la fedeltà al progetto iniziale di Michele Chiarlo. Un progetto che si è sempre evoluto in risposta ai cambiamenti del tempo.
Ritenuto uno dei padri dell’enologia italiana, il nome Michele Chiarlo rappresenta più di 60 anni di passione e impegno accompagnati da una visione sempre lungimirante. Un percorso che, pur nel rispetto delle tradizioni, non ha mai smesso di guardare al futuro.
Oggi, come in passato, i figli Alberto e Stefano sono protagonisti di una gestione che cura ogni dettaglio della produzione, dal vigneto alla cantina, con particolare attenzione alla sostenibilità, all’ospitalità e al valore culturale e artistico che il vino può esprimere.
Stefano, come continuatore di questo percorso, ci racconta come l’azienda sia riuscita a mantenere intatto l’amore per la propria terra, pur affrontando le sfide di un mercato in continua evoluzione.
Stefano Chiarlo Presidente dell’Associazione Produttori Nizza, l’ultimo gioiello uscito da casa Piemonte che oramai rivaleggia sul mercato con i prezzi del Barbaresco.
“Vorrei fare una premessa: mio padre è stato uno dei fondatori dell’associazione e il suo primo Presidente, 22 anni fa. La denominazione Nizza DOCG è stata ufficialmente riconosciuta nel 2014. Il Nizza rappresenta per la Barbera ciò che il Barolo rappresenta per il Nebbiolo, seguendo una logica simile nella costruzione della denominazione: una zona ristretta, storicamente vocata, e un disciplinare molto rigoroso. Partendo da pochi produttori, oggi ne contiamo quasi 100. In pochi anni, la produzione è passata da circa 300.000 bottiglie nel 2015-2016 a oltre 1.000.000 di bottiglie nella fascia premium. Più del 50% di questa produzione viene esportata in 40 Paesi, trovando spazio nelle migliori carte dei vini e nelle enoteche di riferimento a livello internazionale. Insieme a Barolo e Barbaresco, il Nizza è oggi la terza denominazione più importante per i grandi rossi piemontesi, riconosciuta per la sua longevità e la capacità di esprimere al meglio il territorio da cui proviene.”
Oltre a ricoprire il ruolo di attuale Presidente dell’Associazione, hai svolto per diversi mandati la carica di Vicepresidente del Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato .
“Sì, la Barbera d’Asti sta vivendo una seconda giovinezza. È infatti il vino rosso piemontese più esportato al mondo. Negli anni ’50 e ’60 era un vino molto popolare, spesso presente nelle osterie, ma negli ultimi decenni si è assistito a una vera rivoluzione sia in vigna che in cantina. Oggi è un vino di grande modernità: abbina l’espressività del frutto a una morbidezza e rotondità che lo rendono immediatamente riconoscibile sul mercato. Questa modernità lo rende ideale non solo per accompagnare la cucina piemontese, ma anche per esaltare piatti delle cucine etniche di tutto il mondo. La sua fragranza, sostenuta da un’acidità spiccata – il tratto distintivo della Barbera – lo rende un vino estremamente gastronomico e facile da abbinare a una vasta varietà di cucine internazionali.”
Questo vino ha subito grandi trasformazioni negli ultimi vent’anni, seguendo un percorso tracciato anche da tuo padre che può essere considerato il principale promotore di questo vitigno. Ha fatto molto non solo per la sua azienda e per se stesso, ma anche per valorizzare il vitigno stesso. Non dimentichiamo che è stato anche uno dei presidenti di consorzio, affrontando momenti tutt’altro che semplici.
“Certamente, ci sono stati diversi personaggi che hanno contribuito a elevare la Barbera, come Arturo Bersano, Giacomo Bologna e anche mio padre. Il mondo della Barbera è riuscito a risollevarsi da una percezione di vino popolare, come dicevo, conquistando i mercati attraverso una reinterpretazione moderna, senza mai perdere l’anima di vino del territorio. Nel panorama della Barbera ci sono poche industrie, ma molti proprietari di vigneti e produttori, e questa è stata una delle sue forze. È una denominazione ampia che comprende 160 comuni nelle tre province di Asti, Alessandria e Cuneo, ed è proprio questo a conferire una grande varietà, un po’ come il Chianti Classico in Toscana, dove convivono diverse espressioni. Pochi anni fa c’erano circa 200 produttori, oggi siamo più di 500. Riteniamo che la Barbera abbia un grande potenziale di crescita nei mercati internazionali, poiché la gente sta cercando sempre di più autenticità e identità nei vini, stufa di bere i soliti vitigni internazionali come il Cabernet Sauvignon o il Merlot.”
Maison Chiarlo. “I Cipressi della Court” è stato recentemente riconosciuto come il miglior vino al mondo, ma anche Barolo e resort, rappresentano un’altra delle vostre eccellenze.
“Siamo una cantina un po’ particolare, nel senso che in Piemonte le cantine sono solitamente associate alle zone di Langa o Monferrato. In realtà, abbiamo una lunga tradizione e una storicità che ci contraddistinguono, con importanti proprietà in grandi Cru sia nelle Langhe e Barbaresco, sia nell’Astigiano, in particolare a Nizza. Negli ultimi 30 anni ci siamo distinti per la qualità delle nostre vigne e dei nostri vini, cercando di comunicare la nostra identità anche attraverso strutture dedicate all’accoglienza degli appassionati e degli amanti del lusso. Un esempio è il vigneto La Court, che è diventato un parco artistico con oltre 50 sculture, creando un percorso di un chilometro e mezzo immerso tra i filari. Questo è un luogo unico, molto apprezzato dagli appassionati, dove si possono fare picnic all’aria aperta e godere della bellezza delle nostre colline, patrimonio dell’UNESCO. Per quanto riguarda l’ospitalità, il progetto Palás Cerequio, che sorge nel cuore del nostro cru Barolo, è stato arricchito quest’anno con una nuova sezione. La Casa del Barolo che ospita oltre 6000 etichette premiate, tra cui quelle di Wine Spectator. Qui, gli ospiti possono esplorare le differenze tra i vari vigneti, anche all’interno dello stesso cru ma con diversi produttori, in un’esperienza di lusso pensata per gli appassionati di enologia. Oltre a un’esperienza sensoriale completa, è possibile apprezzare il paesaggio e la gastronomia, approfondendo la conoscenza del vino in un ambiente esclusivo”.
Michele Carlo, quante bottiglie produce e quanti ettari di vigneto possiede?
Abbiamo in proprietà 90 ettari di vigneti e ne gestiamo altri 50, distribuiti tra le Langhe, il Monferrato e la zona del Gavi. Produciamo oltre 25 etichette, perché il Piemonte, simile alla Borgogna, è caratterizzato da piccoli appezzamenti di terra che producono dalle 2000 alle 5000 bottiglie ciascuno. In totale, la nostra produzione annuale ammonta a circa 1.200.000 bottiglie.
Come vedi il futuro del mercato, al di là dei sentimenti negativi del momento e dai dazi imposti da Trump negli Stati Uniti. C’è anche un mercato interno che non sembra recepire, complici le difficoltà finanziarie non indifferenti. Acquistare vini di fascia medio alta sta diventando qualcosa di accessibile a pochi, mentre altri si orientano su vini da 3, 4, 5 euro. Come si posizionerà il mercato nei prossimi tre anni?
“Rifletto su alcune parole di uno dei grandi protagonisti dell’enologia italiana, Piero Antinori, che recentemente ha rilasciato un’intervista davvero illuminante. Come ha sottolineato, è vero che stiamo vivendo un periodo particolare, ma se guardiamo indietro possiamo notare che ci sono sempre stati cicli di tendenze positive alternati a momenti di relativa calma, specialmente per i vini più prestigiosi. Tuttavia, è anche vero che i vini italiani devono ancora conquistare nuovi mercati e Paesi emergenti che hanno appena iniziato ad avvicinarsi al vino. E, nonostante tutto, Francia e Italia rimangono le due nazioni con la più grande tradizione enologica al mondo. Per questo motivo, non bisogna mai perdere la speranza. Personalmente, vedo che la fascia più alta del mercato rimarrà sempre fondamentale, perché ci sarà sempre una parte della popolazione con enormi risorse economiche, mentre la fascia media è in difficoltà, soprattutto in tempi di crisi. Quindi, per quanto riguarda l’alta gamma, non vedo particolari preoccupazioni. È altrettanto vero, però, che un’azienda deve mantenere un equilibrio, offrendo prodotti di altissima qualità ma con un giusto rapporto qualità-prezzo. È proprio questa offerta che avvicina al vino anche coloro che ancora non lo conoscono o che finora hanno bevuto solo in determinati ambiti geograficamente limitati.”
Concludo con una provocazione. Se guardiamo indietro, vent’anni fa, a come era l’enologia italiana, viene da chiedersi: non è che si produce troppo vino? Una volta si parlava di Piemonte, Toscana, Veneto e qualche rarità. Oggi invece vediamo zone dove, senza un reale motivo, si producono vini come Il vino del ghiaccio nella provincia di Torino, con un uso eccessivo di solforosa, perché poi non reggono. E ci sono anche regioni che non sono affatto adatte alla viticoltura. Eppure, ormai, si fa vino ovunque. La domanda è: è stato davvero un bene voler produrre vino in tutte le regioni italiane a tutti i costi?
“Vorrei sottolineare due punti. È vero che il mondo del vino è composto da centinaia di migliaia di produttori, e negli ultimi anni sono entrati anche molti provenienti da altri settori. A mio avviso, il mercato farà una selezione naturale, privilegiando chi ha la giusta struttura, l’immagine e una distribuzione adeguata. Allo stesso tempo, è scomparso il consumatore quotidiano di massa, disposto a spendere poco per un vino qualsiasi. I giovani, infatti, bevono principalmente altre cose. Di conseguenza, non c’è più spazio per chi non offre professionalità e qualità. Questa è la sintesi.”