Basta cercare Agbogbloshie su Google per trovarsi di fronte immagini al limite del post-apocalittico: distese di rifiuti sono i giardini e le strade di una città fatiscente, i cui tetti si distinguono a malapena da pile di scarti tessili, elettronici e meccanici; le persone sembrano scomparire in quello che possiamo descrivere come un labirinto di scarti, oggetti dimenticati e destinati a marcire.
Agbogbloshie è un distretto industriale della città di Accra, capitale del Ghana, trasformatosi nella più grande discarica a cielo aperto di e-waste e beni di seconda mano, non riutilizzabili e prossimi al macero. Tra le fiamme e i rifiuti, troviamo la baraccopoli di Old Fadama, in cui al momento abitano 40mila persone e nata all’inizio per ospitare i superstiti della Guinea Fowl War.
La discarica si nutre in continuazione delle enormi quantità di scarti che le vengono offerti dalle industrie di tutto il mondo, prime tra tutte quelle dell’elettronica e dell’abbigliamento.
Quest’ultima, in particolare, destina buona parte dei nostri resi alle fiamme di discariche come quella di Accra: talvolta, infatti, l’industria sceglie di non reintegrare i capi restituiti nel mercato, un processo costoso e decisamente più lungo rispetto alla semplice eliminazione degli abiti in eccesso; così i resi aspettano di essere distrutti e intanto si espandono nelle discariche e tra gli agglomerati urbani più trascurati.
In questo meccanismo fatale per le condizioni ambientali non sono coinvolte soltanto aziende fast-fashion o low-budget, ma anche le maison del lusso, che preferiscono distruggere i resi piuttosto che rivenderli a un prezzo scontato. Un consumatore può facilmente sottovalutare il processo che un capo restituito all’azienda deve attraversare per tornare sul mercato, motivo per cui il pensiero di restituire un acquisto non genera particolari dubbi o ansie: in verità, ricondizionare un reso per re-inserirlo nel mercato può costare quanto il prezzo originale del capo e può impattare l’ambiente in ogni fase di questo processo apparentemente innocente.
I numeri sono scioccanti e raccontano una storia di spreco, consumo e indifferenza.
Negli Stati Uniti i resi hanno generato 4,3 milioni di tonnellate di rifiuti, mentre soltanto il trasporto di questi capi non voluti in media può arrivare a generare circa 27 milioni di tonnellate di CO2, come dichiarano gli Optoro Impact Report 2021 e 2019.
Per quanto la responsabilità risieda nelle politiche dell’industria e nell’omertà delle istituzioni, i consumatori possono ostacolare questo ciclo sviluppando una maggiore consapevolezza ambientale e prestando attenzione alle taglie, ai materiali e alle recensioni dei capi che si desiderano acquistare; invece di creare un nuovo reso, inoltre, si consiglia di regalare o di rivendere ciò di cui non abbiamo bisogno.