Essere un artista in un momento politico incerto e confuso (come il nostro) può rivelarsi pericoloso, soprattutto durante una campagna elettorale, soprattutto quando in diretta televisiva, in un altro paese, ci si rifiuta di cantare una canzone anti-fascista.
Questo destino sfortunato è toccato a Laura Pausini che, ospite dello show spagnolo “El Hormiguero“, ha scelto di non cantare Bella Ciao.
“Troppo politica”, spiega, imbarazzata. “Non mi piace cantare canzoni politiche”
Continua esibendosi con “Cuore Matto” di Little Tony, ma interrompe il coro del pubblico spagnolo, che la scambia proprio per “Bella Ciao”.
Le dichiarazioni della cantante diventano subito polemica, una controversia che investe indistintamente televisione e social networks: inevitabile la strumentalizzazione da parte delle fazioni politiche ora in corsa per le elezioni del 25 settembre, che si contendono la figura della Pausini rendendola da un lato una pioniera della libertà di parola (parole di una destra che rifiuta di definirsi anti-fascista) e dall’altro una bigotta, ignorante e con simpatie dittatoriali (un’altra visione sbagliata, nonché perfetta per la campagna politica di una coalizione di sinistra male assortita e debole).
Altrettanto sterili sono gli interventi dal mondo della musica, tra chi condanna aspramente la cantante e chi invece la supporta, sostenendo che gli artisti debbano occuparsi dell’arte e non della politica.
La verità come spesso succede può trovarsi nel mezzo, esattamente dove si trova Laura Pausini in questo conflitto: la cantante si è scusata, dichiarando di abborrare il fascismo e qualunque governo dispotico, ma la sua reazione rivela una paura più forte, che coinvolge ognuno di noi.
Lo scivolone della cantante, infatti, un momento di ingenuità e leggerezza l’ha resa un oggetto politico, un evento da strumentalizzare: non più Laura, non più una cantante, ma una fascista, una Giovanna D’arco della destra italiana, una libera pensatrice e una populista convinta.
Fondamentalmente, al posto della Pausini potrebbe esserci stato chiunque e a dimostrarlo sono anche altri momenti degli ultimi mesi: dalla donna ucraina violentata che Giorgia Meloni ha utilizzato come pedina razzista e xenofoba, fino alla causa LGBTQ+, emblema della coalizione di sinistra per sedurre la sezione di elettorato più giovane e attiva.