Ormai è essenziale garantire una transizione efficace ed efficiente a un modello aziendale, energetico e manifatturiero affine ai nuovi canoni di rispetto e salvaguardia ambientale.
Il green è d’obbligo, e ora le grandi realtà della moda si preparano ad investire sempre di più in questa nuova dimensione.
“Dal vantaggio competitivo all’imperativo collettivo, i brand di lusso devono guidare e muoversi verso la transizione Esg-environmental, social, and corporate governance“, spiegano Filippo Bianchi e Lucia Casagranda, rispettivamente managing director & partner e senior associate di Bcg-Boston consulting group.
Secondo uno studio di Cbi-climate bond initiative, infatti, le maison di tutto il mondo stanno percorrendo la strada del minimo impatto ambientale con l’emissione di obbligazioni e finanziamenti in sostenibilità. Missione ardua, soprattutto a causa della situazione politico-sociale che sta influenzando il mercato energetico (basti pensare alla guerra in Ucraina, e all’incertezza che ne deriva, o alle sanzioni cinesi al mercato del lusso) e che è talvolta risultata irraggiungibile per alcuni dei più importanti attori del mondo della moda.
Questo è il caso, ad esempio, di Chanel, che avrebbe mancato di pochissimo il target interim sull’abbattimento dell’impronta energetica delle due emissioni per 600 milioni complessivi; la maison ha promesso di compensare a questa mancanza entro l’ultima scadenza, ossia il 2025.
Diversa la posizione di Salvatore Ferragamo, Moncler e Burberry, che hanno superato le aspettative del Green Bond, e di gruppi fast fashion come H&M e OVS.
Per il 60% dei consumatori, il lusso dovrebbe diventare promotore di iniziative di transizione ambientale e sociale e per un altro l’85% le case di moda dovrebbero impegnarsi maggiormente nella gestione del ciclo di vita dei propri prodotti.