Si inaugura il 26 febbraio prossimo, al palazzo Reale di Milano, una retrospettiva tra le più complete e importanti dedicate a Leonor Fini, artista italo-argentina nata a Buenos Aires nel 1907 e mancata a Parigi nel 1996.
Quasi a cento anni di distanza dalla sua mostra d’esordio a Milano negli spazi espositivi della galleria Barbaroux nel 1929, torna nel capoluogo lombardo Leonor Fini, con una personale che ripercorre le tappe principali della sua carriera artistica, concentrandosi anche sulle influenze che hanno plasmato la sua visione.
Il progetto espositivo della mostra è curato da Tere Arcq e Carlos Martin e riunisce un centinaio di opere dell’artista, tra cui 70 dipinti, disegni, fotografie, costumi, libri e video, scoprendo in una chiave strettamente contemporanea una delle figure più anticonformiste e rivoluzionarie della scena culturale europea degli anni Trenta del Novecento. Dopo la Biennale di Venezia (Il latte dei sogni), che nel 2022 l’aveva ospitata nel padiglione centrale ai giardini, e dopo la mostra intitolata “Insomnia” al MART di Rovereto, che nel 2023 l’aveva messa a confronto con un altro visionario come Fabrizio Clerici, Palazzo Reale di Milano propone la scoperta dell’artista attraverso i sopracitati lavori.
Leonor Fini nasce a Buenos Aires nel 1907 da padre argentino e madre italiana. A seguito della separazione con il marito, la madre tornerà in Italia con i figli, stabilendosi a Trieste. Fini cresce in un ambiente borghese di grande cultura, frequentato da grandi personaggi come James Joyce, Italo Svevo e Umberto Saba, e inizia a dipingere in giovane età, per lasciare la casa materna a 17 anni e intraprendere numerosi viaggi in Italia e all’estero. Studia con Achille Funi durante un soggiorno a Milano. Trasferitasi a Parigi nel 1933, conosce Max Ernst, Paul Éluard e Victor Brauner. Pur non unendosi al Surrealismo, Leonor Fini comincia a sperimentare le tecniche del movimento, come ad esempio l’automatismo, che evidenzia l’ispirazione artistica derivata dalla giusta posizione casuale di forme e dall’uso fortuito di materiali. Nelle sue immagini prendono forma creature ambigue che abitano scenari tenebrosi e disseminati da oggetti dall’enigmatica simbologia psicoanalitica. Durante il breve passaggio milanese precedente il trasferimento a Parigi, Fini conosce Carlo Carrà e Jo Ponti, che le commissiona alcuni disegni per la rivista Domus, Mario Sironi e Achille Funi, con cui stringe una relazione sentimentale, e grazie al quale scopra la pittura quattrocentesca e l’arte classica. De Chirico le consiglierà di trasferirsi a Parigi e di sviluppare legami significativi con artisti rilevanti come Andrè Breton, Luis Buñuel e Max Ernst, ma Leonor Fini rifiuterà l’invito di unirsi ufficialmente al gruppo perché non condivide l’idea tradizionale che i surrealisti avevano delle donne. Inizia a lavorare per la stilista italiana Elsa Schiaparelli, e per lei inventerà la boccetta del profumo “Shocking”, ispirata al gusto dell’attrice Mae West e a disegnare costumi per il balletto, il teatro e il cinema. Allo scoppio della seconda guerra mondiale l’artista, lasciata Parigi, dapprima si rifugia nella casa di campagna di Max Ernst e della sua amante, poi a Montecarlo, dove conosce il console italiano Stanislao Lepri, che abbandonerà la carriera diplomatica per la pittura. Il loro amore durerà fino alla morte di lui, avvenuta nel 1980. Durante un soggiorno a Roma, la Fini stringerà amicizia con Anna Magnani, Elsa Morante, Mario Praz, Alberto Moravia e Luchino Visconti.
L’esposizione milanese si articola in 9 sezioni tematiche e pone un’attenzione particolare al carattere contemporaneo dell’artista. Nelle opere di Leonor Fini, infatti, vengono affrontate tematiche quotidiane, spaziando dalla messa in discussione del genere e dell’identità ai modelli un tempo consolidati di famiglia, femminilità e mascolinità. L’immaginario dell’artista è animato da figure forti e indomite, come sfingi e donne gatto, che si affiancano a uomini ambigui, che richiama le atmosfere misteriose ispirate alle letture di Freud, che si manifestano attraverso le rappresentazioni del sogno e dell’inconscio. Leonor Fini, pur non avendo mai aderito veramente al movimento surrealista, vi ha dato una spinta classicista, in quanto, nella sua arte, ha sempre guardato a grandi maestri, come Piero della Francesca, Michelangelo e i Manieristi.