La differente linea politica tra Donald Trump e Kamala Harris potrebbe causare un impatto molto diverso anche sul settore della moda, basato sul candidato che uscirà vincitore dalle presidenziali 2024. Nonostante la ritrosia da parte di alcuni esperti nel considerare Trump e Harris fondamentali nello stabilire i tassi di interessi e consumi della fashion industry, sicuramente la questione delle tasse e il tema delle leggi antitrust in merito presentano visioni differenti. Se Trump ha in programma tariffe del 100% su molti beni, la Harris ripercorre la strada tracciata dal Presidente uscente Joe Biden, mantenendosi su una posizione più misurata e confermando le tariffe, sostenute da Trump durante il suo primo mandato, soltanto nei confronti della Cina, e che si rispecchia nelle azioni antitrust, secondo gli esperti, che hanno ostacolato il deal Capri-Tapestry. L’eventuale conferma della presidenza democratica, questa volta portata avanti da Kamala Harris, direzionandosi sui temi ambientali e sulla sostenibilità del debito pubblico, sarebbe sostenuta dai designer emergenti, a differenza della linea repubblicana, con Trump a capo, incentrata sulla promozione e affermazione di marchi noti a livello internazionale e case di moda europee.
Come riportato da Milano Finanza, in USA, 1,8 milioni di posti di lavoro sono legati alla moda, di cui 232 mila nella produzione di tessuti per abbigliamento e calzature, secondo quanto dichiarato dal Joint economic committee democratic bureau of labor. Nel 2019, dopo aver minacciato dazi anche del 100% su Champagne e Made in Italy, il mentore di The apprentice fece scalpore visitando la nuova manifattura di Luis Vuitton in Texas, con elogi esagerati a Bernard Arnault, patron di Lvmh. Se uno dei suoi slogan per la campagna 2016 era “Make America rich again”, con la capitalizzazione attuale di Wall Street gli USA potrebbero restare l’ancora di salvezza per il lusso europeo, in attesa che la Cina si riprenda. Secondo uno studio della Banca d’Italia la vittoria repubblicana diminuirebbe la volatilità del mercato azionario e aumenterebbe i prezzi delle azioni, oltre a diminuire il prezzo del petrolio.