Basta una pistola nelle mani sbagliate per sancire un nuovo periodo di proteste, sangue e fiamme tra le strade di Parigi.
Un eco che si propaga da quel tragico 27 giugno a Nanterre, data e luogo in cui, senza alcuna pietà, il diciassette Nahel M., ragazzo di origini algerine, fu giustiziato senza pietà alla guida della sua auto dal poliziotto che lo aveva costretto a fermarsi, Florian M.
Se da un lato l’agente ha ricevuto supporto sempre più crescente da parte dell’estrema destra francese, la morte del giovane Nahel ha infiammato lo spirito di una nutrita porzione di cittadini, attivisti, giornalisti e politici, che hanno messo in risalto la guerra razziale che l’intera Francia combatte ogni giorno ai danni di ragazzi neri e arabi, attraverso ingiustizie, razzismo, repressioni e violenze.
Così le strade di Parigi sono diventate un campo di battaglia in cui forze dell’ordine e manifestanti si scontrano senza pietà, tra fiamme, animali liberati dallo zoo e musica, immagini diventate immortali grazie ai video caricati sui social media.
In tutto questo la Parigi Haute Couture Week si è svolta senza interruzioni: lusso e bellezza hanno calcato la passerella senza sporcarsi del sangue, del fumo e della violenza che hanno, invece, dipinto ogni angolo delle strade della città.
Se alcuni marchi hanno scelto di annullare i propri show (come Celine), altri hanno invece presentato le proprie collezioni senza ripensamenti, accogliendo celebrità vestite di oro, piume e pietre preziose e distogliendo lo sguardo dalla rabbia del popolo e dalle fiamme che divampavano a pochi metri dalle passerelle.
Uno scenario non unicamente francese, ma che incarna perfettamente le contraddizioni della nostra epoca: da un lato ricchezza e sublime, dall’altro una città brucia per un ragazzo il cui nome, purtroppo, non risuonerà mai potente quanto Schiaparelli, Dior o Chanel.