Come sostenere le richieste di un mercato sempre più affamato e rapido?
Questa è la domanda che affligge l’industria dell’alta moda, sopravvissuta alla pandemia e alla crisi economica, ma ora costretta a fare i conti con una realtà sempre più satura e difficile da controllare e, soprattutto, sempre più competitiva.
Chi può permetterselo, dunque, corre ai ripari e auspica a concretizzare un assetto economico verticale, indipendente da attori esterni, e, per definizione, più chiuso: nel caso del Made in Italy questo è avvenuto con la partnership tra il Gruppo Prada e il Gruppo Zegna, che hanno acquisito il 15% delle quote di Luigi Fedeli e Figlio, produttore italiano di maglieria, e che già in passato si sono alleate contro i giganti dell’alta moda mondiale, spartendosi, ad esempio, la maggioranza delle quote nel fornitore di lana e cashmere Filati Biagioli Modesto nel 2021; lo stesso hanno fatto Chanel e Brunello Cucinelli con quasi il 50% delle quote di Cariaggi Lanificio, un fornitore italiano di cashmere già nella sfera di Cucinelli.
Un’arma a doppio taglio, che se da un lato garantisce l’indipendenza e la tutela delle filiere italiane, dall’altro implica un monopolio del settore maglieria da parte di un ristretto gruppo di attori economici.
Parallelamente anche brand stranieri stanno investendo nelle realtà italiane: in Toscana sempre più stabilimenti e fabbriche si stanno riconvertendo in sedi produttive per marchi del gruppo LVMH, un fenomeno che sta contribuendo a intasare tutta l’area industriale della regione.
“Esiste una specie di ufficiosa gara tra i brand per accaparrarsi nuovi siti produttivi in Italia” spiega Rémy Daguillard, fondatore dell’azienda di logistica Stellae International, a Vogue Business. “Questa opportunità è accessibile solo ai grandi marchi con risorse sufficienti per investire nei loro fornitori e garantire una produzione efficiente.”