Sono due robot bianchi dal design leggiadro e pulito ad accoglierci all’Avatar Robot Cafè Dawn di Tokyo. Reggono un vassoio, su cui spicca il menù del locale che sta cambiando per sempre il mondo della ristorazione giapponese, e non solo: proprio qui al Cafè Dawn, infatti, operano i primi camerieri androidi della storia, chiamati OriHime e OriHime-D, e al momento capaci di salutare, prendere gli ordini, consegnare le portate al tavolo prestabilito e sparecchiare; al bancone, invece, abbiamo il barista, un robot di nome Tele-Barista, che prepara bevande e cocktail.
Non si tratta, tuttavia, di “semplice” alta tecnologia, perché dietro ai movimenti e alle azioni di ogni dipendente della Cafè Dawn c’è una persona disabile; è questo il caso di Mikako Fujita , barista di 51 anni che soffre di sclerosi laterale amiotrofica e che, grazie a un device da casa, riesce a controllare i movimenti e le azioni del proprio androide nel ruolo di suo pilota.
Persone vere dietro i robot, ora di nuovo capaci di lavorare e reinventarsi grazie agli ideatori di questo rivoluzionario progetto, Kentaro Yoshifuji e l’Ory Laboratory, la cui missione va ben oltre la semplice introduzione dei robot nella vita quotidiana: se applicata in altri contesti, infatti, l’iniziativa di Yoshifuji e Ory Laboratory potrebbe garantire una nuova integrazione a tutti quei lavoratori che, in seguito a una disabilità, hanno dovuto abbandonare il proprio impiego e, per un certo punto di vista, il proprio ruolo attivo in società.