Se i movimenti di body positivity e le voci che urlavano all’inclusività sembravano aver scosso con efficacia un’industria vecchio stampo, retrograda e crudele, oggi le passerelle di tutto il mondo raccontano una storia ben diversa, in cui sono corpi magrissimi a primeggiare.
Prendendo in considerazione le sfilate di Milano, Londra, Parigi e New York Fashion Week, Vogue Business ha avviato un’indagine concentrata, appunto, sulla taglia e il peso delle modelle scelte per i fashion shows: su 9.137 look in 219 sfilate a New York, Londra, Milano e Parigi, solo lo 0,6% era plus size e il 3,8% era mid-size (US 6-12); in sintesi, soltanto 17 dei 219 marchi mostrati in tutte e quattro le città della moda presentavano un look plus size, dato che non fa altro che rinforzare l’immagine di un panorama moda che non desidera rappresentare proprio tutti.
Londra si distingue dalle altri capitali del fashion per inclusività e rappresentazione, segnando valori comunque esigui, ma ben superiori rispetto alla media: durante la fashion week, per esempio, le designer emergenti Karoline Vitto e Sinéad O’Dwyer hanno presentato il 100% e il 90,5% di look di taglia media e modelli plus size, rispettivamente.
Tuttavia il messaggio è chiaro: l’alta moda sta tornando a standard di magrezza difficilmente raggiungibili, se non tossici; un eco, forse, dell’heroin chic anni ’90 e inizio 2000 che sta ritornando in auge anche sui social media, e che sembra, di nuovo, aver dichiarato guerra alle forme.