Tra medicina tradizionale, folklore e bellezza, la giada è una pietra preziosa di estremo valore, economico e culturale.
Originaria dell’Asia dell’est, questa gemma rappresenta un pilastro per la mitologia e l’immaginario della cultura cinese, un impero che per millenni ha dominato incontrastato, per poi trasformarsi, frammentarsi e riscoprirsi nell’attuale Repubblica Popolare Cinese; tra gioielli, talismani sacri, poteri magici e poesia, la giada, in cinese “yu”, ha incantato milioni e milioni di persone.
La nazione più popolosa al mondo e una delle protagoniste dell’industria del lusso, la Cina deve ora fare i conti con il consumismo crescente di cui è artefice e vittima: l’estrazione mineraria della giada, infatti, ha raggiunto livelli da catena di montaggio globale, e a pagare per questi ritmi infernali è la regione del Kachin, localizzata nella parte settentrionale del Myanmar, insieme ai suoi abitanti.
Secondo una recente analisi diretta dal Global Witness, la giada birmana poteva godere di un giro d’affari pari a 31 milioni di dollari nel 2014, cifra pari a metà del PIL totale del Myanmar, denaro che è andato a finanziare i conflitti militari interni al paese e, più di preciso, le armate dell’esercito centrale e indipendentiste; non soltanto, però, una crisi umanitaria, ma anche ambientale.
La mancanza di trasparenza da parte degli enti cinesi non riesce comunque a nascondere una situazione drammatica: falesie lacerate dagli eccessivi ritmi di estrazione e migliaia di lavoratori ridotti alla fame, nonché tormentati dalla crisi climatica, che causa inondazioni (come quella devastante che ha afflitto la regione nel 2020) e trascina via con sé tutto ciò che resta dell’umanità birmana.
Sempre il Global Witness si sofferma a descrivere lo stato di sfruttamento, disagio e povertà che caratterizza la quotidianità dei minatori birmani. Chiamati yemase, questo gruppo di lavoratori e artigiani si compone di oltre 400mila individui e rappresentano il 2% della forza lavoro nazionale; tuttavia, quasi il 90% di loro vive in condizioni di estrema povertà e abusa di sostanze stupefacenti, come la locale yaba, un mix di metamfetamina e caffeina, per abbattere la fatica.