Quando Andy Warhol parlava dei “15 minuti di fama” che il futuro avrebbe riservato, potenzialmente, a tutti, forse non immaginava che questo sarebbe valso anche per i grandi nomi dell’industria della moda, se non per tutte le aziende di qualsiasi settore .
Oggi, infatti, anche i big dell’high fashion devono puntare su brevi picchi di fama sui social media per valorizzare alcuni dei loro prodotti (quelli ad “alto rischio”, diciamo, che potrebbero rappresentare un lancio imperdibile o un buco nell’acqua totale). Così il marketing e il social media management diventano chiavi essenziali per delineare un’efficace strategia di comunicazione, che nel mondo del web si forma e si applica senza restrizioni e che ha come obbiettivo finale la viralità di qualunque contenuto si stia sponsorizzando. Con “viralità” non si intende una semplice popolarità: marchi come Miu Miu, Diesel, Prada e via dicendo sono già estremamente popolari, ma non possono godere eternamente nella luce dei riflettori e qui entrano in gioco i “15 minuti di fama”.
Virale significa rilevante e impossibile da ignorare, qualcosa che per almeno due settimane resterà nelle menti di tutti o di uno specifico target di appassionati e che, preferibilmente, finirà per diventare un argomento di conversazione anche al di fuori dei social media: una canzone può essere virale, un meme può essere virale, e anche un capo d’alta moda può esserlo.
Come diventare virali? Per farlo è necessario armarsi degli strumenti giusti, a partire dai data: dati di vendita, interazione, informazioni che descrivono il rapporto tra utenza e marchio e che sono capaci di rivoluzionare la vita di un prodotto, ma che, soprattutto, ci permettono di controllare il flusso di produzione di item potenzialmente virali, in modo da comprenderne il picco di riscontri e il periodo di fama di cui essa potrà godere.
Come spiega Mark A. Cohen, direttore degli studi sulla vendita al dettaglio presso la Columbia Business School ed ex CEO di Sears Canada, a The Globe and the mail: “I data sono il segreto della vita. I brand hanno sempre avuto a disposizione enormi dati di vendita. Ma oggi i commercianti sanno, se non il giorno stesso, il giorno dopo, cosa si vende. Hanno dati empirici quasi in tempo reale su ciò che hanno venduto e dove”.
Oltre ai dati di acquisto, le aziende devono anche armarsi di algoritmi predittivi, appositamente studiati per anticipare ciò che si venderà in futuro e quali prodotti stoccare in una determinata posizione geografica e in quale quantità, seguendo una logica simile a quelli degli algoritmi che definiscono il feed apparentemente randomico di Instagram e TikTok.
Il passo successivo è lo sviluppo di un senso di appartenenza, la formazione di una comunità in miniatura che si dedica quasi esclusivamente a parlare del prodotto e ad attenderlo frementi; un meccanismo che naturalmente è la conseguenza di una buona campagna sui social, e che può influenzare significativamente l’hype che circonda il lancio di un certo prodotto.