Ermenegildo Zegna aveva uno sguardo particolare, capace di vedere oltre l’orizzonte delle sue montagne piemontesi. Quando fondò la sua azienda, parlava già di “Oasi Zegna” – non solo un luogo fisico, ma un’idea di comunità dove natura, persone e creatività potessero convivere in armonia. Centoquindici anni dopo, quella visione ha attraversato continenti e culture, approdando nella scintillante Dubai, dove per una settimana la celebre Opera House si è trasformata in Villa Zegna.
L’atmosfera era surreale: le note dal vivo di James Blake riempivano l’aria mentre modelli di tutte le età e provenienze sfilavano indossando capi che sembravano raccontare storie. Non la solita passerella patinata, ma qualcosa di più intimo e autentico. Come se ogni giacca, ogni camicia, ogni paio di pantaloni portasse addosso i segni di una vita realmente vissuta.
Alessandro Sartori, il direttore artistico di Zegna, ha un approccio alla moda che va controcorrente rispetto ai lucidi perfezionismi che spesso dominano le passerelle. “C’è un’immagine che mi ha folgorato durante la ricerca per questa collezione”, racconta. “Una sedia con sopra impilati dei vestiti, quelli che uno si toglie la sera o che è pronto a rimettere il giorno dopo. Quella casualità, quella stratificazione naturale – ecco, quello è quello che cercavamo”.
È un concetto rivoluzionario, se ci pensiamo. Invece di presentare abiti perfetti e immacolati, Zegna ha scelto di mostrarli come sarebbero dopo essere stati realmente portati, amati, vissuti. I capi sono stati sottoposti a lavaggi intensi, stropicciati, manipolati fino a quando non hanno acquisito quella naturalezza che solo l’uso quotidiano sa dare. I colori sono sbiaditi come se il sole di Dubai li avesse baciati per anni, i volumi si sono modellati sui corpi come se avessero trovato la loro forma ideale attraverso l’esperienza.
C’è qualcosa di profondamente italiano in questo approccio – quella sprezzatura che fa sembrare tutto naturale anche quando dietro c’è un lavoro certosino. Le giacche vengono annodate in vita con nonchalance, i mocassini portati come pantofole domestiche, eppure il risultato è di un’eleganza disarmante. È come se Sartori avesse catturato l’essenza di come gli italiani sanno essere eleganti anche nell’informalità più assoluta.
“Noi designer facciamo solo metà del lavoro”, spiega Sartori con una sincerità rara nel mondo della moda. “Il resto lo fanno i clienti quando interpretano i capi ogni giorno”. È un’ammissione di umiltà e al tempo stesso una celebrazione della creatività individuale. Ogni persona che indossa un capo Zegna diventa co-autrice della sua storia, aggiungendo le proprie esperienze, i propri gesti, la propria personalità.
Guardando la collezione, si respira un’aria di libertà. Le silhouette sono morbide, decostruite, come se i tessuti avessero trovato da soli la loro forma naturale. Persino l’iconica giacca Il Conte, simbolo dell’eleganza Zegna, viene ripensata in chiave più rilassata e boxy. Le camicie Nehru si sovrappongono in doppi strati, le camicie lunghe diventano capispalla, i confini tra formale e informale si dissolvono in una fluidità che è pura poesia tessile.
Gli shorts sartoriali vengono indossati sotto cappotti estivi, i blazer perdono la loro rigidità formale, le giacche in pelle diventano leggere come una brezza. È un gioco continuo di sovrapposizioni e contrasti che racconta una nuova idea di eleganza maschile, più libera, più espressiva, più umana.
La palette cromatica è essa stessa un racconto. Si parte dal bianco oasi e si attraversano le tonalità del mastice, del burro di montagna, della caligine e della corda – colori che evocano tanto i paesaggi alpini dell’Oasi Zegna quanto le infinite sfumature del deserto. Poi arrivano le note più intense: l’olio, il cognac, il liquore, la felce, fino ai toni profondi del fumo, dell’ardesia lavata, del barolo. È come seguire un viaggio che va dalle Alpi alle dune, passando per tutti i paesaggi dell’anima.
Ma è quando si toccano i tessuti che la magia di Zegna si rivela completamente. Lo Shetland estivo che mescola lana, seta e lino in proporzioni perfette. Il popeline ultraleggero che sembra fatto d’aria. Il camoscio che si fa seconda pelle, la canapa sabbiata che racconta storie di venti e tempeste. Ogni texture è un mondo da esplorare, una promessa di comfort e bellezza che solo l’artigianalità italiana sa mantenere.
C’è anche la pelle lavorata a maglia – un ossimoro tessile che diventa realtà nelle mani degli artigiani Zegna – e la spugna di cotone, carta e lana che trasforma il concetto stesso di lusso in qualcosa di tattile e immediato.
Alla fine, questa collezione racconta un cerchio che si chiude. Dalla visione di Ermenegildo Zegna nel 1910 all’Oasi reale tra le montagne biellesi, fino a questa Oasi immaginaria nel deserto di Dubai, il messaggio è sempre lo stesso: la moda non è solo vestire, è vivere. È lasciare che la vita lasci i suoi segni sui nostri abiti, è accettare che la bellezza vera stia nell’imperfezione dell’uso quotidiano, nell’intimità del rapporto tra chi indossa e ciò che viene indossato.
“C’è una cultura del vestire che è profondamente italiana”, conclude Sartori, “un modo corretto e spensierato insieme che voglio mantenere come nostra firma”. E in effetti, guardando questa collezione, si capisce che Zegna non sta solo vendendo vestiti – sta proponendo un modo di essere al mondo, dove l’eleganza nasce dalla naturalezza e la bellezza si nutre di autenticità.
Dalla sabbia del deserto all’Oasi Zegna, e ritorno: gli abiti si plasmano sulle esperienze, diventando compagni di viaggio nella grande avventura che è la vita di ogni giorno.


