Milano celebra a quarant’anni dalla sua scomparsa , il cui anniversario cade l’8 luglio, il fotografo Gyula Halasz, in arte Brassai (1899-1984), nome adottato in omaggio alla sua città natale, Brassó, nella Transilvania allora ungherese, oggi città romena. E lo fa con una mostra dal titolo “Brassai. L’occhio di Parigi”, curata dal nipote Philippe Ribeyrolles, allestita a palazzo Reale di Milano fino al 2 giugno prossimo.
Promossa dal comune di Milano-Cultura e prodotta da Palazzo Reale e Silvana Editoriale, con l’Estate Bressai Succession l’esposizione presenta più di duecento stampe d’epoca, oltre a sculture, documenti e oggetti appartenuti al fotografo, che fu anche giornalista, scultore, regista, poeta e disegnatore.
Il trasferimento a Parigi di Brassai avviene nel 1924, dopo aver frequentato l’Accademia di Belle Arti, prima a Budapest, poi a Berlino. Risale al 1929 l’acquisto della prima macchina fotografica, una Voigtlander formato 6×9 a lastre con ottica Heliar 105 mm. Inizia da subito a fotografare la Ville Lumière su suggerimento di un altro grande fotografo emigrato ungherese, André Kertesz. E Brassai frequentò con assiduità la Parigi notturna, che fece nascere in lui la passione e il desiderio di fissare le atmosfere che più amava. Come ben ha dichiarato Ribeyrolles “non è stato lui a scegliere la fotografia, ma è lei che gli si è imposta”.
Risale al 1933 la pubblicazione del suo primo libro fotografico intitolato “Paris de nuit”, racconto intimo sulla Parigi di notte, un’opera in bianco e nero, che è rimasta un grande saggio sulla fotografia francese.
Henry Miller, suo amico, lo definì “l’occhio vivo della fotografia” per il modo naturale di cogliere una variegata umanità, dai clochard ai pittori, dalla gente comune alle prostitute.
Brassai aveva il dono che tanti artisti disprezzano, una visione normale, capace di catturare tutto ciò che aveva valore e significato, scegliendo la novità e la perfezione.
Accanto alla Parigi notturna, vi sono immagini che egli ha colto della città diurna, nello scorrere della sua vita quotidiana dei suoi fumosi bistrot, dei passanti e della gente comune, nei graffiti e nella moda.
Le fotografie di Bressai furono anche pubblicate sulla rivista surrealista Minotaure, di cui egli divenne collaboratore e attraverso la quale conobbe scrittori e poeti surrealisti come Breton, Eluard, Desnos, Benjamin Péret e Man Ray.
Esporre oggi Bressai significa immergersi nell’atmosfera di Montparnasse, dove tra le due guerre si incontravano numerosi artisti e scrittori, molti dei quali provenienti dall’Europa dell’Est, come il suo connazionale André Kertesz, che esercitò una notevole influenza sui fotografi che lo circondavano, da Brassai a Robert Doisneau.
Brassai appartiene alla scuola francese di fotografia umanista, per la presenza essenziale di uomini, donne, bambini all’interno dei suoi scatti. Oltre alla fotografia di soggetto, risulta significativa la sua esplorazione dei muri di Parigi e dei loro numerosi graffiti, che testimonia il legame di Bressai con le arti marginali e l’art brut di Jean Dubuffet. Nel 1956 espose anche al Moma di New York nella mostra “Language 3 of the Walter. Parisian graffiti photographed by Bressai”, che riscosse un enorme successo. I legami di Bressai con l’America si concretizzarono in una collaborazione con “Harper’s Bazaar”. Per la rivista americana ritrasse i protagonisti della vita culturale e artistica francese, raccogliendo i volti nel libro “Les artistes de ma vie” nel 1982. Tra i suoi ritratti d’artista quelli di Dalì, Picasso, Giacometti, Matisse e altri con cui instaurò rapporti di frequentazione, come il poeta Jacques Prevert. Sarebbe mancato due anni dopo la pubblicazione del libro, in Francia, nel 1984, a Eze, minuscolo ma bellissimo paese della Cote d’Azur.