In un mondo dove non esistono più passaggi intermedi, tornano le stagioni, ma solo in passerella, da Prada, dove ad accogliere gli ospiti della sfilata c’è un giardino incantato sotto vetro, quello del pavimento trasparente su cui poggiano come sedute le tipiche poltrone da ufficio.
Tutto ruota attorno alla cravatta, che dello show è stata anche cadeau allegato all’invito, ma soprattutto fulcro intorno al quale sono stati costruiti molti dei look in passerella. Più che alla cravatta, a ciò che essa rappresenta. Ovvero – e ci risiamo, dopo gli illuminanti saggi sul tema degli scorsi giorni firmati Gucci e Dolce & Gabbana – un’eleganza classica e rassicurante, tranquilla e dettagliata, per la quale dovremo presto ingegnarci di trovare un nome in codice che ben la racconti. Siamo dalle parti del normcore, ma più formale, e del quite luxury, ma un tantino, fortunatamente, meno noioso. Un nome salterà fuori presto.
Ora, è possibile che delle giacche riproporzionate, dei pantaloni affusolati, le cuffie da piscina che diventano berretti in lana, cappotti con i bottoni dorati, montoni super avvolgenti e cravatte ovunque non rappresentino né l’avanguardia né il nuovo compiuto. Probabilmente, però, rapprentano un seme che, crescendo e insinuandosi in quella vita ossessivamente regolata dal lavoro e dagli obblighi contrattuali, può andare a sfondare un tetto di cristallo per liberarsi nella natura. Quella umana a cui fa omaggio il titolo della collezione.