Trasparenza e consapevolezza hanno segnato il 2023 rispetto allo scottante tema della moda sostenibile, ma, con l’anno agli sgoccioli, è inevitabile chiedersi se il trend dell’eco-fashion e delle strategie sostenibili resteranno rilevanti anche nel corso del 2024.
Da un punto di vista legislativo, in Europa le nuove norme volte alla tutela della moda ecosostenibile resteranno in vigore, ma questo potrebbe non essere sufficiente per arginare del tutto le pratiche di greenwashing dei grandi marchi o i ritmi di sovrapproduzione che caratterizzano l’industria fast fashion; al tempo stesso, le tendenze del vintage e del second-hand hanno contribuito a sensibilizzare e a instillare nuove abitudini nei consumatori.
Tuttavia, secondo l’ultimo report annuale di Wrap, ONG votata alla causa climatica, i risultati raggiunti dai marchi firmatari del piano d’azione Textiles 2030 sono del tutto irrilevanti: ogni successo, infatti, si scontra con numeri che raccontano ritmi di produzione incessanti, tali da annullare qualunque impegno sostenibile.
Ciò che emerge dall’analisi di Wrap, è che tra il 2019 e il 2022 le emissioni di anidride carbonica e l’impiego di acqua sarebbero diminuite rispettivamente del 12% e del 4% per tonnellata, ma che il volume complessivo dei prodotti tessili realizzati e venduti è aumentato del 13%; Wrap, inoltre, evidenzia quanto l’industria dell’alta moda sia dannosa per l’ambiente (la più inquinante, per la precisione) e individua il paese con il numero più alto di acquisti pro-capite, l’Inghilterra.
Cosa accadrà, dunque, durante il 2024? Non è facile rispondere a questa domanda, soprattutto perché, secondo quanto dimostrato da Wrap, affidarsi alle pratiche di economia circolare resterebbe una sana pratica per i singoli individui, ma avrebbe un impatto nullo sull’industria.
Le necessità del mercato e l’incessante produzione tessile sembrano inarrestabili, e soltanto le aziende potranno cambiare la situazione, semplicemente producendo meno.