Scie bianche squarciano l’oscurità scarlatta dei cieli, in un eco di bombardamenti e voci inascoltate, che ora conoscono solo la paura e la sofferenza, ma che prima potevano incontrarsi e mischiarsi in un coro di canti, risate e vita quotidiana.
Gaza è una prigione, un’enclave, un ghetto, ma è anche una casa, l’unica casa che molte delle persone che vi abitano potranno mai avere.
Tuttavia, per le narrazioni più viscide e subdole è facile trasformare l’esistenza di un intero popolo in una bolgia di degrado e violenza: così, in televisione e sui social media, la Palestina appare desolata, sporca, arretrata, luogo dove sono arcaiche leggi religiose a governare e dove la meravigliosa democrazia, quella di matrice statunitense e dal profumo di macchina nuova, non è ancora arrivata.
Non abbiamo mai visto gli abitanti di Gaza felici.
Non ci hanno permesso di farlo, di vederli come esseri umani: per l’occidente la Palestina è una polveriera di distruzione, la rappresentazione di una realtà che non ce l’ha fatta e che, per questo motivo, non può che essere subumana.
Strade lastricate di palme, lungo cui corrono e giocano bambini dai volti scottati dal sole, quartieri nascosti dal caos, in cui anziane donne coperte dal velo si scambiano aneddoti e ricordi, e luci accese nelle camere da letto di innamorati che possono incontrarsi solo tra le coperte dopo una lunga giornata di lavoro, non sono cose da animali palestinesi.
Gli “animali assetati di sangue di Hamas”, come li ha chiamati l’ambasciatore israeliano Ron Prosor a Berlino, per oltre cinquant’anni hanno convissuto con la violenza, gli stupri e la segregazione da parte di uno Stato forgiato da chi, dalla morte, era riuscito a salvarsi.
Sono anche, tuttavia, insetti e parassiti, come li definisce l’avvocato per i diritti umani e CEO dell’associazione israeliana The International Legal Forum (ILF) Arsen Ostrovsky, che devono essere schiacciati dalle forze israeliane e puniti per i crimini commessi.
Crimini atroci, secondo quanto riportato dalla stampa internazionale e dalle fonti governative israeliane, tra cui infanticidio, stermini di massa, decapitazioni, il prologo di un genocidio, ma che di fatto non riescono a essere comprovati del tutto; alcuni dei terribili atti qui citati, infatti, apparirebbero in fotografie e video generati con l’intelligenza artificiale o decontestualizzati a dovere, grazie a una strategia persecutoria e propagandistica di rara efficacia.
Gaza, dunque, è abitata da animali e mostri, nemici da distruggere che infestano l’altrimenti perfetta realtà di Israele: alta tecnologia, ordine, ricchezza, pace e supporto mondiale, ma soprattutto una forza militare talmente potente e fanaticamente sedotta da poter mettere sotto assedio l’intera Gaza senza troppi sforzi, garantendo la morte di migliaia di persone (in gran maggioranza bambini sotto i quattordici anni di età).
Il primo ministro israeliano, Benjamin Nethanyahu, non ammette alcuna tregua e ordina che i palestinesi vengano privati di elettricità, acqua e risorse alimentari; impedisce alla stampa di esprimersi liberamente, silenzia quella parte dei suoi cittadini che, terrorizzata e furiosa, condanna un governo fascista e genocida; stringe le mani ai potenti di tutto il mondo, da Joe Biden a Ursula von der Leyen, e continua un’invasione coloniale in corso dai tempi del dopoguerra.
“Non ci sono civili innocenti a Gaza“, afferma il primo ministro, mentre i superstiti alle prime ore dell’assedio cercano di fuggire da nuovi e incessanti bombardamenti. “Questo è solo l’inizio”.
Ad applaudirlo, un mondo che fino a pochi mesi prima aveva pianto l’Ucraina e che oggi supporta il genocidio in Palestina: star del cinema, politici, scrittori, musicisti che inneggiano a un unico nemico, un unico demone da sconfiggere.
Come eravamo sembrati buoni di fronte all’Ucraina bianca, cristiana, vittima perfetta, nonostante un sentimento filo-nazista sempre crescente e le atrocità commesse in Donbass, e come siamo crudeli, ciechi, ricolmi di odio di fronte alla storia che si ripete e al perfetto capro-espiatorio, una Palestina che ha finalmente reagito e che, dopo cinquant’anni di torture, ha osato spargere sangue.
Il secondo olocausto va in scena e noi rimaniamo a guardare.