Succede a Roberto Bolle in America e nell’agorà per antonomasia, Times Square, ma anche in Belgio, Germania, Francia, Gran Bretagna e Austria. “In quasi ogni città e paese in Italia esistono monumenti e siti sbalorditivi – racconta – e in ogni museo trovi un capolavoro che ti emoziona e dal quale impari qualcosa”.
Così lo chef consiglia abbinamenti come quello che associa Osteria Gucci agli Uffizi a Firenze per esaltare l’inconsueto e scoprire la bellezza dell’inatteso, visto come un’apparizione futuristica che si svela quando “inaspettatamente, per citare un piccolo e stupendo ricamo di Alighiero Boetti, si inciampa nella meraviglia italiana”. “Il giorno dopo l’apertura di Gucci Osteria a Firenze – racconta – mi sono ritrovato a camminare solo per la città, all’ingresso degli Uffizi non c’era nessuno. Chiesi se fosse chiuso, “no, è solo presto”, fu la risposta.
Superato lo scalone, mi ritrovai in un corridoio con grandi vetrate, inondate da una luce magica. Stavo oltrepassando la Sala del Duecento, all’improvviso tornai sui miei passi e la vidi: di fronte a me c’era la Madonna di Ognissanti, brillante d’oro puro e modanature arancioni. Restai senza fiato, altro che Kubrick in 2001: Odissea nello spazio, quella Madonna è un frammento di futuro, un’astronave (anche nella forma), che arriva dal passato per trasportarci verso l’avvenire, a riappropriarci di nuove, infinite galassie culturali”.
Le scoperte rigeneranti dell’Italia portano poi a Piscinas e al Monte Catria.
“I luoghi da scoprire di cui non so ancora nulla, quelli che in qualche modo ti devi conquistare: come la spiaggia di Piscinas, in Sardegna, dove per arrivare occorre attraversare una stradina sterrata e un fiumiciattolo tra le dune di sabbia; oppure l’eremo del Monte Catria, nelle alte Marche, una meta davvero spirituale, citata anche da Dante nella Divina Commedia” spiega. I ricordi dei suoi viaggi in Italia più memorabili sono legati alla rotta che lo riporta a casa tra Modena e Manhattan. Un rientro da “degustare” con un tortellino al Tortellante di Modena, ma anche con l’emozione di un “aperitivo sull’Etna, sospesi tra l’inferno e il paradiso” dichiara. I sapori dell’Infanzia investono anche altre mete, portandolo a Samboseto, Parma. Era il 30 settembre 1970, il giorno dell’ottavo compleanno quando i genitori lo coinvolsero in un pellegrinaggio gastronomico in un ristorante che a quei tempi era già mitico: la trattoria di Peppino e Mirella Cantarelli. “Sento ancora il sapore del savarin, un timballo di riso in crosta di lingua, e della faraona in creta”.
A Casa Maria Luigia a Modena, nascosta nella nebbia c’è la sua pianura “che custodisce e protegge un tesoro: quando la osservi, senza vedere niente, puoi sognare qualsiasi cosa. Alla fine di questo viaggio della fantasia, si possono esplorare gli angoli quieti e silenziosi del parco pluricentenario di Casa Maria Luigia, la dimora-guest house che ho aperto nella campagna modenese. E lì ci si può fermare a dormire, avvolti nella calma”. Perché è l’Italia in fondo è un sogno già dentro di noi e a spiazzare e invadere ovunque. “L’ispirazione parte sempre nella nostra testa. Il mare o i monti possiamo trovarli anche nell’asfalto di un autogrill, perché siamo noi che li immaginiamo. Il piacere di un viaggio sta tutto nell’attesa di raggiungere una destinazione”.