Le donne iraniane si tagliano i capelli in segno di protesta e lutto per la morte di Mahsa Amini, 22 anni, uccisa dalla polizia morale a Teheran. La ragazza curda è morta il 16 settembre a causa delle percosse della polizia che l’aveva arrestata perché le fuoriuscivano dei capelli da sotto il velo, non rispettando i rigorosi standard di legge.
Le forze dell’ordine, “Gasht-e Ershad”, dichiarano che Mahsa sia morta per attacco cardiaco, ma la famiglia della ragazza smentisce, dichiarando “aveva delle fratture craniche, l’hanno portata alla morte dopo 3 giorni di coma in ospedale a Teheran”.
Queste rigide norme sull’abbigliamento risalgono alla rivoluzione islamica, imposte dall’Ayatollah Khomeini nel 1979. Da allora il governo ha obbligato tutte le donne, indipendentemente da nazionalità e religione, ad indossare velo e abiti lunghi in pubblico. Nel 2005 venne istituita la polizia morale il cui compito è di garantire, anche tramite l’uso della forza, che le donne si conformino all’abbigliamento ritenuto corretto dalla legge.
Molte donne si sono tagliate i capelli in segno di lutto, seguendo un’usanza curda, in memoria di Mahsa. La prima è stata @ShinD1982 in un video su Twitter e in molte hanno replicato il suo gesto simbolico di ribellione, solidarietà e dolore verso l’ultimo dei tanti eccessi di violenza da parte della polizia iraniana.
#مهسا_امینی pic.twitter.com/kT8IfYlG3s
— شین (@ShinD1982) September 18, 2022
Il dissenso è sempre più diffuso in tutto il paese, le strade sono inondate da manifestazioni in cui le donne bruciano i loro hijab in segno di protesta.
Secondo un reportage di ieri, 22 settembre, l’Ong Iran Human Rights (IHR) annuncia che sono almeno 31 i civili uccisi dall’inizio delle proteste. Il direttore della Ong Mahmood Amiry-Moghaddam dichiara: “Il popolo iraniano è sceso in piazza per lottare per i propri diritti fondamentali e la propria dignità umana (…) e il governo sta rispondendo a queste manifestazioni con le pallottole”.
Parla anche il gruppo curdo per i diritti umani Hengaw, che denuncia orribili sparatorie da parte della polizia contro donne, uomini e bambini nelle proteste in Kurdistan, regione di origine di Mahsa.
Inoltre NetBlocks, un’organizzazione di controllo che monitora la sicurezza informatica e la governance di Internet, riporta che il governo iraniano stia bloccando l’accesso a internet nella capitale. Anche nel resto del paese è stato bloccato l’accesso a molti social network, quali Instagram e Whatsapp, oltre alle difficoltà a utilizzare le reti cellulari dei principali operatori telefonici del paese.
In un’era in cui l’informazione è potere, togliere internet alla popolazione è l’ennesima forma di dura repressione. In questo momento è più importante che mai ampliare le voci dei cittadini che protestano e perdono la vita, lottando per il diritto inalienabile alla libertà d’espressione e contro ogni forma di violenza delle forze dell’ordine.
These women in #Iran’s northern city of Sari are dancing and burning their headscarves… anti-regime protests have now spread to dozens of cities from north to south, east to west… all triggered by the death of #MahsaAmini while in the custody of Iran’s morality police. pic.twitter.com/BBDvgC5L1w
— Rana Rahimpour (@ranarahimpour) September 20, 2022