Quasi unanime la decisione statunitense di abbandonare le attività di produzione tessile avviate in località estere, come in Asia, per concentrarsi invece su tutti gli stabilimenti già presenti sul territorio locale o su aree confinanti, distribuite in Centro e Sud America.
Secondo l’indagine annuale della Usfia-US fashion industry association, infatti, il 61% delle aziende americane del settore aumenterà la propria produzione nei Paesi che fanno parte del Free Trade Agreement, ossia Stati Uniti, Centro America e Repubblica Dominicana, Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Honduras e Nicaragua; lo stesso accadrà per i mezzi e le fonti di approvvigionamento, dato che si preferiranno, nella stragrande maggioranza dei casi, prodotti locali provenienti dalle aree sopra citate.
Firmato nel 2006, il Free Trade Agreement si basa sullo scambio tra Stati Uniti e America Centrale, Repubblica Dominicana (inclusa nell’accordo nel 2007) e la Costa Rica (2009): l’accordo dichiara che vada verificata l’origine del prodotto, in modo da poter applicare o meno la riduzione tariffaria stabilita; il taglio e la realizzazione del tessuto devono obbligatoriamente essere eseguiti nella stessa area di produzione, anche se alcuni Paesi esteri hanno dei limiti, come il Messico, che può fornire solo fino a 100 milioni di metri quadrati di tessuti.
Il 20% delle aziende si è dichiarata pronta per il cambiamento, dato che già ricavava il 10% dei propri rifornimenti da realtà americane. I vantaggi di questa rivoluzione saranno sostanziali e riguarderanno principalmente il tariffario e la flessibilità, ma non tutti gli analisti hanno espresso lo stesso ottimismo: l’industria tessile dei Paesi centroamericani sta ancora attraversando una graduale fase di crescita, soprattutto in termini di materie prime, attualmente carenti, e delle potenzialità di produzione.