Nel 2019 il settore della moda ha visto i primi 100 brand del mondo fatturare complessivamente 280 miliardi di dollari, prima dell’obbligatoria contrazione sui numeri assoluti che ha portato il Covid. Ma come si è trasformato il mondo della moda nel 2020? Secondo Katiuscia Terrazzani, country manager di Ayming, il settore si è proiettato ancora più sul futuro. Per sua natura infatti il fashion cerca di anticipare i tempi, operando con una o due stagioni di vantaggio.
Il 2020 con le sue indiscutibili difficoltà ha rappresentato l’occasione per la moda per reinventarsi, mettendo in discussione strutture consolidate. Nel mondo del fashion, l’Italia è da sempre un mercato di eccellenza: tra i primi 100 brand del lusso al mondo, ben 22 sono italiani secondo lo studio annuale Global Powers of Luxury Goods di Deloitte, cosa che pone la Penisola al primo posto come presenza in classifica.
A livello di fatturato, l’industria italiana del tessile-abbigliamento-accessori rappresenta il 41% della produzione europea, di gran lunga superiore rispetto a Germania e Francia, con oltre il 60% della produzione di alta gamma realizzata in Italia. Se però da un lato si parla di un mercato enorme, che nel 2019 ha fatturato oltre 70 miliardi di euro e vale l’1,2% del Pil nazionale, Terrazzani sottolinea anche come tra le 338.000 aziende distribuite sul territorio che a vario titolo ne fanno parte, molte sono di dimensioni piccole e medie, andando a rappresentare ben 1 milioni dei addetti. Per questo, si tratta un settore che anche a livello macro ha il suo forte peso sul tessuto produttivo ed economico italiano.
Quali i cambiamenti in atto? La prima rivoluzione, per forza di cose, ha riguardato il modo di comunicare. Se il mondo del fashion vive storicamente di momenti fisici, a cominciare dalle sfilate, e della tattilità dei prodotti, molto di questo è dovuto passare sulle piattaforme digitali, come del resto è già significativamente digitale da molti anni il canale di vendita.
La crisi ha mostrato ulteriormente la solidità della filiera. La trasformazione imposta dall’epidemia ha di fatto accelerato processi di digitalizzazione che erano già in atto. Il peso dell’e-commerce è aumentato a livello esponenziale, i brand che avevano già avviato progetti di trasformazione digitale li hanno intensificati, andando a costruire relazioni nuove e durature con i loro clienti, in ambito B2C ma anche B2B.
In più sta evolvendo il rapporto tra brand e consumatori. Tra i valori che sono emersi evidenti in questi ultimi mesi ci sono la sostenibilità e la ricerca di un approccio etico e di responsabilità verso il sociale, ma anche la personalizzazione, alla ricerca di un rapporto sempre più equilibrato e paritetico tra brand e consumatore.
In questo senso va inquadrata anche la crescita della sharing economy, che consente sia di avere un impatto positivo sul mercato e sull’ambiente ma anche di riaffermare il carattere individuale di ogni consumatore. In più si aggiungono un approccio differente alla stagionalità tipica del mondo della moda e una valorizzazione su grande scala delle eccellenze locali (glocal). In tutto ciò, la digitalizzazione ha toccato tutti gli aspetti della filiera a cominciare dalla supply chain.
Se tutto questo è vero, guardando al futuro, conclude la country manager di Ayming, c’è un trend evidente che si può evidenziare: una forte integrazione omnichannel, con l’obiettivo di essere sempre presenti dove è il cliente sui canali che utilizza e nei tempi che sceglie. Siccome a livello fisico la ripresa sarà sicuramente più lenta perché legata alle restrizioni su viaggi e spostamenti, a maggior ragione diventano ancor più importanti le relazioni personali, gestite con tutti gli strumenti a disposizione.