I nuovi ritmi del mercato mondiale non si conciliano efficacemente con materiali rari, di fattura artigianale e tendenzialmente costosi: è una storia già sentita, che in un modo o nell’altro ha toccato ogni industria e attività privata e che come causa principale ha un forte sbilanciamento del rapporto tra richiesta e disponibilità delle risorse naturali.
Oggi, ad esempio, è il cashmere ad attraversare questa crisi inevitabile.
Con la fast fashion che si radica sempre di più nel sistema della moda, anche il cashmere, prima esclusivo e molto costoso, è finito nelle inarrestabili catene di montaggio di marchi come Shein, Wish e molti altri. Le conseguenze sull’ambiente di questo fenomeno sono molteplici, e riguardano sia le terre d’origine del cashmere, sia la lana utilizzata per la sua creazione e dunque gli animali da cui essa si ricava.
Il ciclo vitale del tessuto si consuma tra le regioni montuose di Iran, Afghanistan, Cina e Mongolia, habitat naturale delle capre Hircus, il cui pelo invernale rappresenta la base essenziale per la filatura; da queste aree proviene il 90% del cashmere mondiale, un materiale che è influenzato sotto ogni aspetto dall’ambiente in cui viene realizzato.
Infatti il clima delle montagne asiatiche garantisce proprietà uniche al pelo delle capre Hircus, chiamato duvet, in grado di termo-regolare il corpo delle capre, proteggendole sia dalle alte che dalle basse temperature: la fibra tessile si ricava dal manto delle capre attraverso un attento processo di filatura, che consiste nella pettinatura a mano degli animali una volta all’anno, precisamente in primavera, quando per gli animali inizia il periodo della muta.
Per realizzare un maglioncino di cashmere serve la lana di quattro capre, dato che da ognuna di loro si possono al massimo ricavare dai 100 ai 200 grammi di fibra tessile: per soddisfare il grande quantitativo di richieste proveniente da tutto il mondo, l’industria del cashmere ha investito nell’acquisto e nell’allevamento di nuovi esemplari di capre Hircus.
Ciò ha effetti negativi sull’habitat degli animali e sulle loro condizioni di vita: un eccessivo sfruttamento del terreno ha infatti causato un inaridimento generale dei pascoli, una reazione a catena che ha trasformato allevamenti locali in allevamenti intensivi e che potrebbe avere conseguenze ben peggiori, come la scomparsa del cashmere per come lo conosciamo.