Nel corso di un anno che ha già visto aspre contese per la tutela del “marchio Italia”, Federazione Moda Italia‑Confcommercio rinnova l’allarme sul fenomeno dell’ultra‑fast fashion, in rapido dilagare nei mercati dell’Unione Europea. Le modalità su cui insiste la federazione — esenzioni doganali per pacchi di basso valore, pratiche concorrenziali aggressive da parte di piattaforme globali extra‑UE e la carenza di regole armonizzate — mettono in seria difficoltà il sistema moda italiano e europeo.
Secondo i dati citati da Federmoda, nel 2024 sono state immesse nel mercato UE circa 4,6 miliardi di spedizioni di modico valore (ovvero pari o inferiore a 150 euro), corrispondenti a circa 12 milioni di pacchi al giorno. Una cifra che segna un raddoppio rispetto all’anno precedente.
La critica verte in particolar modo sull’esenzione dai dazi per tali spedizioni: “È urgente riportare ordine in un comparto che oggi vive una concorrenza non equa”, afferma Giulio Felloni, presidente della Federazione Moda Italia.
Le proposte per ridisegnare un terreno di gioco equo
Per contrastare il fenomeno, la Federazione avanza una serie di strumenti politici e regolatori:
- l’introduzione della responsabilità estesa del produttore (EPR) per il settore tessile, affinché chi importa – anche in piccoli lotti – risponda di impatti ambientali e di smaltimento;
- la soppressione dell’esenzione dazi per pacchi di basso valore, ovvero per spedizioni sotto i 150 euro;
- l’istituzione di un contributo fisso ambientale per ciascun pacco proveniente da paesi terzi, con destinazione a un fondo a sostegno della digitalizzazione e del percorso sostenibile delle PMI del commercio.
Tali misure, rileva Federmoda, sono fondamentali per salvaguardare non solo i negozi di prossimità — già sotto pressione — ma l’intera filiera della moda italiana.
Un fronte europeo compatto contro l’ultra-fast fashion
L’Italia non è sola in questa battaglia. A settembre 2025, Confindustria Moda ha firmato, nel contesto del salone Première Vision, una dichiarazione congiunta con Euratex e altre federazioni tessili europee contro l’ultra‑fast fashion: un segnale di cooperazione transnazionale per difendere il lavoro, l’ambiente e la credibilità del made in Europe.
In parallelo, si moltiplicano gli esempi di interventi legislativi contro il modello ultra‑veloce. In Francia, è stata approvata una legge che prevede — tra l’altro — una sanzione per ogni capo venduto che non rispetti criteri di sostenibilità: nel 2025, la tassa prevista era di 5 euro per articolo, con un aumento progressivo fino a 10 euro entro il 2030. Le autorità europee, inoltre, stanno valutando l’eliminazione dell’esenzione IVA per gli import da paesi extra‑UE per gli ordini a basso valore, oltre all’introduzione di una ecotassa sui singoli pacchi.
L’ecosistema della moda italiana sotto stress
Il proliferare di merci ultra‑economiche e temporanee ha ricadute più ampie: oltre al danno economico, si innesta un problema reputazionale. Gli scandali legati alle condizioni di lavoro o ai casi di sfruttamento — anche in aziende del lusso — rendono necessario un chiarimento sul significato concreto del made in Italy. Scrivere su un’etichetta “Made in Italy” non basta: va dimostrato il percorso produttivo, la qualità, la filiera responsabile.
Non meno grave è la perdita di fiducia da parte dei consumatori: scoprire che un capo di lusso è stato pagato pochi euro al fornitore riduce drasticamente l’appeal dell’etichetta. Persino imprenditori di rilievo come Renzo Rosso hanno sottolineato l’esigenza di valorizzare autenticità, inventiva e l’equilibrio che distingue l’offerta italiana.
Il Governo italiano ha già convocato un tavolo con il Ministero delle Imprese e del Made in Italy per definire urgenti contromisure. Tuttavia, il successo delle riforme dipenderà dall’allineamento con le direttive europee e dalla capacità di superare gli ostacoli giuridici — in primis il rispetto del principio del “mercato unico” e della libera circolazione delle merci nell’UE.
Inoltre, il settore retail moda ha subito nel 2024 una contrazione dei consumi: aumentano le ore di cassa integrazione, le chiusure di punti vendita e le difficoltà economiche si fanno sentire, specialmente fra le PMI. Federazione Moda Italia suggerisce anche incentivi fiscali e sgravi per chi investe in innovazione e modelli sostenibili, nonché un Patto etico di filiera con i fornitori per reimpostare rapporti più equilibrati.
L’ultra‑fast fashion non è solo una minaccia economica: rappresenta un problema ambientale, sociale, culturale. Il modello produce tonnellate di rifiuti tessili, pressione sui lavoratori e consumo rapido di risorse. A livello europeo, la sfida consiste nel disincentivare il consumo impulsivo, promuovere la riparazione, il riciclo e un rapporto più etico fra industria, consumatore e ambiente.
In Italia, il rilancio della moda sostenibile passa dalla credibilità: serve che le imprese parlino di “made in Italy” con trasparenza, che comunichino storie e qualità reali, e che si facciano ambasciatrici di un modello che sia alternativo al “prendi, consumi, getti”.