Nel cuore del Jardin des Tuileries, Dior ha celebrato il debutto femminile di Jonathan Anderson — la prima donna “firmata Anderson” per la maison francese. Con occhio attento all’eredità e brama di innovazione, lo stilista nordirlandese ha disegnato una “nuova donna” Dior, in bilico tra eleganza classica e audacia sperimentale.
Un’identità reinventata
Fin dall’inizio, Anderson ha inteso il suo compito come una decodifica e ricomposizione del dna di Dior: il celebre Bar jacket, elemento iconico della maison, emerge nella sua collezione con volumi rilasciati, chiusure ambigue e aperture posteriori che ne trasformano la silhouette originaria. Al fianco di questa rilettura, si alternano gonne plissettate corte, gonne a tubo, cappe di jeans strutturato, chemisier in tessuti impalpabili e abiti scorciati con schiena scoperta.
La sfilata è stata introdotta da un montaggio cinematografico in bianco e nero, che tra riferimenti gotici e suggestioni “horror” ha suggerito il tema della memoria deformata, della luce che incide l’ombra, della tradizione riscritta. Questo suggestivo preludio visivo ha dettato il tono di una collezione che non aspira a un “New Look 2.0”, ma piuttosto a una pluralità di modelli — come se Anderson volesse affermare che la “donna Dior” non è un archetipo univoco, ma un concetto versatile.
Contrasti e rapporti inesausti
Tra i leitmotiv della collezione si staglia il contrasto: maglieria e tailoring, leggerezza e struttura, femminilità e androgina decostruzione. I tessuti trasparenti s’intrecciano con lane pressate, mentre le proporzioni giocano sulla tensione tra il corpo rivestito e il corpo svelato. Un cappotto dal collo alto, lineare e severo, convive nella stessa sequenza con un mini dress impalpabile: dichiarazioni che si sfiorano ma non si annullano.
Non mancano i tocchi divertiti: cappelli eccentrici, scarpe rialzate con “orecchie” decorative, inserti quasi illusionistici che suggeriscono “cosa c’è dietro”. Si percepisce un tentativo di teatro — ma mai a scapito della sartorialità.
Reazioni e prospettive
Al termine del défilé, Anderson ha ricevuto una standing ovation: tra il pubblico, presenza notevole di celebrità quali Jimin, Jisoo, Jennifer Lawrence e Johnny Depp. Ma le reazioni critiche sono più sfumate: se da un lato il debutto è stato salutato come audace e ambizioso, dall’altro alcuni osservatori — compresa l’agenzia AP — hanno sottolineato l’assenza di una silhouette forte e definita, rimarcando che la collezione appare come un “catalogo di interrogativi” piuttosto che una dichiarazione univoca.
In questo senso, il debutto di Anderson viene percepito più come un “prologo concettuale” che come un manifesto definitivo. Tuttavia, in un’annata in cui ben otto nuovi direttori creativi presentano le loro linee d’esordio a Parigi, la casa Dior ha colto l’occasione per mostrare una volontà di rottura e rigenerazione.
Un’era unificata
Il debutto femminile segue il lancio maschile di Anderson, consolidando una fase storica in cui Dior affida a un solo stilista la responsabilità di uomo, donna e haute couture — cosa che non accadeva dai tempi di Christian Dior. La strategia del gruppo LVMH sembra chiara: ottenere coerenza visiva e narrativa in tutte le linee del marchio.
Le aspettative sono alte — non solo perché Dior è uno dei capisaldi del lusso mondiale, ma perché il mercato globale del fashion attraversa un momento di fragilità economica e culturale. In questo contesto, il percorso di Anderson può segnare non un trionfo immediato, ma una scommessa sull’identità e sulla cultura visiva del futuro. In passerella anche la figlia di Bianca Balti, di Nicole Kidman e la splendida Loli Bahia.