In un palazzo storico trasformato in teatro sensoriale, Dario Vitale ha presentato la sua prima collezione in veste di direttore creativo di Versace, aperta e audace come una dichiarazione d’intenti. L’evento, intimo e selezionato, ha tenuto a distanza le passerelle tradizionali e ha preferito un palcoscenico che sembrava sospeso fra memoria e provocazione.
Il DNA della Maison è qui richiesto in prestito, reinterpretato con guizzo moderno: magnetici volumi cut‑out, jeans a vita alta, tee dai profili laterali scoperti e abiti sfiorati, in una palette primitiva di colori primari. Anche l’accompagnamento sonoro rivela le coordinate emotive: George Michael, Prince, Eurythmics, tracce care agli anni Ottanta e Novanta, evocano un pop che è anche manifesto di libertà.
Vitale, primo non‑membro della famiglia Versace a dirigere la linea, rende omaggio all’eredità italiana con audacia. In conferenza stampa ha messaggiato una rifondazione sensuale, meno ostentata, più intima: «Si tratta sempre di infrangere le regole, ma con grazia», ha dichiarato, tratteggiando un percorso che idee e nostalgia intrecciano.
Suggestioni e tensioni — estetica e dissonanza
Il set rimandava a un interno nobiliare in apparente disordine — arredi decostruiti, tappeti scomposti, gesti imperfetti — una scenografia che amplifica il senso di straniamento e mette in discussione l’ordine del bello. Ogni capo sembra appartenere a un’epifania improvvisa piuttosto che a una collezione costruita.
Le silhouette puntano su un erotismo controllato: schiene nude, tagli laterali, trasparenze delicate, ma anche un rigore che limita il sovraccarico. I denim si fanno protagonisti, rivisitati con finiture sorprendenti e accenti anni Novanta — un richiamo alle radici di Versace, ma filtrato in chiave personale.
Nel front row, il pubblico ha risposto con curiosità: tra gli ospiti, celebrità del panorama internazionale hanno preso posto accanto a interpreti del nuovo lusso. L’assenza del marchio nel calendario ufficiale della settimana moda ha contribuito a dare all’appuntamento un’aura privata, quasi rituale.
Tempo di rivoluzioni (e responsabilità)
Questo debutto acquista peso in un momento delicato per la Maison: l’ingresso in scena di un nuovo direttore creativo segna una rottura rispetto all’era Donatella, che rimane comunque figura istituzionale nel brand. La trasformazione si fa carico di una tensione generazionale — fra ricordo e sperimentazione — e punta a rilanciare Versace come marchio che dialoga col presente senza tradire il proprio passato.
Lensando a uno sguardo più ampio, questa collezione si inserisce in una Milano Fashion Week all’insegna dei nuovi inizi: altri brand storici stanno cambiando guida, impostando l’offerta 2026 su un equilibrio fra heritage e audacia contemporanea.
In definitiva, Vitale non celebra il revival, ma avvia un rito di passaggio: Versace non riparte da zero, ma ricompone le tessere di un’identità che sa guardare alla provocazione e all’eleganza in modo rinnovato. È, questo, un appuntamento esteticamente scosso, ma anche carico di promessa.


