Dall’oro all’incertezza: il 2025 si apre in tono minore per la gioielleria italiana, che vede raffreddarsi l’onda lunga del boom registrato nel 2024. Secondo le ultime rilevazioni di settore, le esportazioni tra gennaio e maggio si attestano a 5,88 miliardi di euro, in calo del 15,2% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
A pesare maggiormente è la brusca contrazione delle vendite verso la Turchia (‑42,2%), protagonista assoluta lo scorso anno, ora tornata su livelli più contenuti. Ma è il mercato statunitense a preoccupare il settore: -18,9% nei flussi verso gli USA, complice un clima di incertezza alimentato dall’introduzione di nuovi dazi sulle importazioni di gioielli, in vigore dal 27 luglio.
Il provvedimento – che fissa un’imposta base del 15% – potrebbe erodere fino al 75% del valore aggiunto per le produzioni non marchiate e a più basso posizionamento, costringendo le imprese a ritoccare i listini americani fino al +20% pur di preservare i margini. Una dinamica che rischia di compromettere la competitività del “bello e ben fatto” italiano oltreoceano.
La frenata non è un fulmine a ciel sereno. Già il primo trimestre 2025 aveva registrato un calo dell’export del 9,1%, con una riduzione in volume del 22,4% e una flessione significativa nei principali distretti, Arezzo compreso. Un campanello d’allarme per un comparto che nel 2024 aveva toccato vette storiche: +49% di export, con un’impennata dei flussi verso Ankara (da 922 milioni a oltre 5 miliardi), una crescita a doppia cifra per Vicenza (+15%) e un sostanziale consolidamento per Valenza.
Dietro il rallentamento, oltre ai dazi, si celano nodi strutturali e congiunturali: aumento dei costi energetici, difficoltà di approvvigionamento, carenza di manodopera specializzata. Il quadro globale, segnato da tensioni geopolitiche e volatilità dei mercati, spinge le aziende a riconsiderare le strategie di internazionalizzazione.
Le associazioni di categoria, da Federorafi a Confartigianato, lanciano l’allarme e sollecitano un piano industriale che metta in sicurezza il settore, favorendo la diversificazione verso mercati emergenti – America Latina, Sud-est asiatico, Africa – e sostenendo gli investimenti in innovazione e tracciabilità.
Intanto, il made in Italy resta un punto di riferimento internazionale, attestandosi al quarto posto nel ranking mondiale dell’export orafo. Ma per continuare a brillare, servirà più di una buona reputazione: occorreranno visione, coesione e capacità di adattamento in uno scenario sempre più complesso.


