Il tempo, almeno per ora, continua a sorridere all’orologeria elvetica. Nel mese di luglio, le esportazioni svizzere di orologi hanno messo a segno un incremento del 6,9 % rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, attestandosi su un valore di 2,4 miliardi di franchi svizzeri. A trainare il risultato è stato, con forza sorprendente, il mercato statunitense, dove la domanda è balzata del 45 % su base annua.
Dietro la performance oltreoceano, tuttavia, si cela una corsa contro il tempo: l’introduzione, a partire dal 7 agosto, di un nuovo dazio del 39 % sulle importazioni elvetiche ha spinto distributori e retailer statunitensi a fare incetta di orologi prima dell’entrata in vigore delle nuove tariffe. Più che una ripresa organica, dunque, si tratterebbe di una manovra tattica per aggirare l’impatto imminente dei dazi voluti dall’amministrazione americana.
Meno incoraggianti, invece, i segnali provenienti dall’Asia. Se Singapore mostra un solido +14,8 % e Hong Kong resta in lieve crescita (+4,6 %), la Cina continentale arretra del 6,5 %, e il Giappone registra una contrazione a doppia cifra (–10,1 %). Un quadro che conferma il raffreddamento del mercato asiatico, già emerso nel corso del 2024, quando l’export verso Pechino aveva segnato un crollo di quasi il 26 %.
In prospettiva, il settore dovrà confrontarsi con dinamiche sempre più complesse. Le tariffe americane, destinate a incidere in modo sensibile sui listini, potrebbero tradursi in rialzi al consumo tra il 12 e il 35 %, erodendo la competitività delle maison elvetiche sul primo mercato extraeuropeo. In parallelo, la debolezza della domanda asiatica rischia di rallentare ulteriormente la ripresa iniziata a inizio 2025, quando i primi segnali positivi avevano fatto sperare in un’inversione di tendenza dopo un anno in chiaroscuro.
Il tempo, insomma, continua a scorrere. Ma per l’orologeria svizzera, mantenere il passo potrebbe presto diventare più complicato del previsto.