Vent’anni fa, la Riviera era ancora una promessa. Oggi è un’eco. In Chiamatemi Riviera Maurizio Maria Taormina trasforma quel che resta in venti ritratti letterari, venti racconti
come vetri rotti in cui si riflette un Paese senza più centro. Il libro non cerca di spiegare:
mostra, scompone, graffia. E ride, con un’ironia satirica che sa di veleno e di sale. È un
campo minato: venti storie, venti personaggi, venti deflagrazioni in sequenza che mettono
a fuoco il vero volto della nuova Riviera — non quella da depliant, ma quella che resta a
luci spente, tra le crepe di un’estate infinita che non riesce più a finire.
Questa non è la Riviera da cartolina, né quella fellinizzata per uso turistico. Un libro ibrido,
ironico, tagliente. Un realismo tossico, impastato di slang, errori, brand e risentimenti, che
porta con sé l’eco di Tondelli e Welsh, ma parla la lingua di oggi: contaminata, scrollabile,
fuori asse. I protagonisti — rider depressi, aspiranti trapper, padri e madri falliti, ex hostess
in pensione — non sono “figure marginali”. Sono il centro narrativo di un’Italia che si è
spostata ai margini.
Lontano tanto dalla narrativa borghese quanto dalla retorica del degrado, Chiamatemi
Riviera si colloca nella scia di Tondelli (proprio a quarant'anni dalla pubblicazione di
Rimini), Celati, Pasolini. Ma la pietà qui è finita in saldo. Al suo posto: maschere post-pop,
nevrosi post-social, estetiche post-tutto. Una forma di neoverismo terminale che racconta
un’Italia collassata su se stessa, dove anche l’eccesso è diventato routine.
Ogni personaggio — Barbie del crimine, influencer in declino, ultras in terapia — è una
parabola che si spegne prima della catarsi. Ma dietro la crudezza resta un residuo di
umano, un ultimo lampo di compassione. Perché Chiamatemi Riviera, sotto il disincanto,
non smette mai di guardare in faccia la rovina. E di farla parlare.
Non c’è morale né redenzione: solo traiettorie spezzate, trame che si annodano in una
periferia mentale prima che urbana. La Riviera, qui, è un confine: tra ciò che era e ciò che
non sarà più. I lidi diventano sabbie mobili, le discoteche mausolei pop, gli stabilimenti
reliquie di una decadenza con vista mare.
Il tono è satirico, ma mai gratuito: l’autore accompagna i suoi personaggi fino in fondo, con
uno sguardo disilluso ma partecipe. Chiamatemi Riviera è un libro che graffia, ma non
posa.
Ma c’è di più. Alla fine del libro, uno sforzo in più: un atlante zoomorfo dei tipi spiaggiati in
Riviera, un bestiario umano che attraversa la penisola sdraiata. Cinquanta ritratti, ironici e
spietati, che raccontano la composizione stratigrafica e fenotipica dell’Italia
contemporanea. Si ride, sì, ma spesso per non piangere. Un esercizio di satira
antropologica tra Flaiano e Benni, con echi della commedia all’italiana — Totò, Sordi,
Peppino De Filippo, Verdone — filtrati però da uno sguardo postmoderno, lucido e senza
indulgenze.
E poi c’è la Playlist. Quella vera, quella da ascoltare tutta d’un fiato, come colonna sonora
perfetta per attraversare le pagine (e le notti) di Riviera.
Infine, un’ultima trovata che rende questo libro vivo e aperto: “Chiamatemi Riviera” non
finisce. Invita. I lettori sono chiamati a inviare le proprie storie — da ogni Riviera d’Italia e
del mondo — per essere pubblicate nelle prossime ristampe e nella versione ebook. Un
libro in aggiornamento perpetuo, come il paese che racconta. Perché se l’Italia cambia, le
sue maschere si moltiplicano. E qualcuno, da qualche parte, continua a ballare anche
quando la musica è finita.
