Le negoziazioni tra Stati Uniti e Unione Europea in materia di dazi proseguono, con il 9 luglio ancora indicato come possibile termine per raggiungere un’intesa. L’auspicio generale è quello di trovare una soluzione diplomatica che possa portare all’eliminazione delle tariffe generalizzate, attualmente fissate al 10% dall’amministrazione Trump, dopo un breve periodo iniziale in cui erano state stabilite al 20% lo scorso aprile. Alcuni, come il Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, hanno recentemente sottolineato come il mantenimento del dazio al 10% rappresenterebbe comunque un compromesso accettabile.
Tuttavia, questa visione non trova il consenso del settore vinicolo italiano, fortemente presente sul mercato americano. Secondo l’Unione Italiana Vini (UIV), che ha raccolto le opinioni di diverse aziende attraverso il proprio Osservatorio, un’intesa che lasciasse il dazio al 10% non sarebbe comunque una buona notizia. Il mercato statunitense rappresenta infatti il principale sbocco internazionale per il vino italiano, con una quota del 24% dell’export e un valore stimato in 1,94 miliardi di euro per il 2024.
L’indagine dell’UIV rivela che per il 90% delle imprese coinvolte (che nel complesso generano oltre 3,2 miliardi di euro di fatturato), l’introduzione di un dazio al 10% inciderebbe negativamente sulle vendite. Il motivo principale è l’impossibilità per i consumatori statunitensi di sostenere l’aumento di prezzo al dettaglio. Di conseguenza, il 77% degli intervistati ritiene che l’impatto sul proprio business sarebbe significativo: “medio-alto” per il 61% e “molto alto” per il 16%.
Il presidente dell’UIV, Lamberto Frescobaldi, ha sottolineato come il comparto vinicolo sia tra i più esposti alle restrizioni commerciali. Da un lato, per l’elevata incidenza dell’export verso gli Stati Uniti rispetto ad altri settori del made in Italy (24% contro poco più del 10%), dall’altro perché il vino è un bene considerato non essenziale, quindi più soggetto a cali nei consumi in caso di aumento dei prezzi. Frescobaldi ha inoltre evidenziato che un danno economico colpirebbe non solo le aziende italiane, ma anche la filiera commerciale americana: ogni dollaro investito sul vino europeo, infatti, genera circa 4,5 dollari di ricadute economiche negli Stati Uniti. Le realtà più penalizzate sarebbero soprattutto le piccole imprese, alcune delle quali destinano al mercato USA fino alla metà del loro fatturato, così come le principali denominazioni italiane molto apprezzate oltreoceano, tra cui Moscato d’Asti, Pinot Grigio, Chianti, Prosecco e Lambrusco