Il nuovo fenomeno che sta investendo l’industria del lavoro si chiama “Quiet Quitting“, e si può descrivere come una reazione di pura ribellione e rifiuto verso i ritmi sempre più frenetici e la filosofia stakanovista che caratterizza una buona fetta degli ambienti professionali di tutto il mondo.
Il termine, di origine anglosassone, non si riferisce a delle “dimissioni silenziose” (come potrebbe indicare una traduzione letterale), ma al classico “minimo sindacale”, all’impiegare poche energie e risorse nelle proprie mansioni ‘d’ufficio.
Alla base di questo fenomeno di massa non c’è la pigrizia, come si potrebbe pensare, ma una forte insoddisfazione: secondo uno studio condotto da TherapyChat e Ipsos, infatti, il 46% dei lavoratori indica la propria posizione lavorativa e il proprio impiego come il principale fattore di stress e malessere psicologico.
Addio allo stereotipato workaholic, allo stakanovista motivato, benvenuti impiegati consapevoli, che scelgono il proprio benessere invece dell’ambizione puramente corporativa: l’obbiettivo diventa ricercare un nuovo equilibrio tra vita privata e professionale, oppure, nel caso di contesti aziendali particolarmente negativi, l’impiegato si trasforma in un ostacolo per il proprio ambiente lavorativo, un agente controproducente che non solo fa il minimo sindacale, ma che rema attivamente contro chi lo circonda.
“Per comprendere meglio la situazione potremmo valutare il nostro attuale atteggiamento verso il lavoro, con quello di qualche tempo o anno fa e porci alcune domande”, spiega la psicologa Elisabetta Muccinelli. “È lo stesso? Ci sono stati cambiamenti? Nel presentarci ad altre persone, usiamo definirci secondo la nostra professione (esempio, “sono un avvocato” piuttosto che “faccio l’avvocato”)? Quanto ci identifichiamo con i valori della azienda o dell’organizzazione per la quale lavoriamo?”.
Il consiglio è chiaro: guardarsi dentro e avere il coraggio di voltare pagina, cercando porti più sereni. Non sempre però questo è possibile, soprattutto quando una scelta del genere può implicare una nuova infelicità o un nuovo momento di incertezza, e forse è anche questo il motivo per cui il Quiet Quitting riguarda, in un modo o nell’altro, ognuno di noi.