Il gruppo svizzero Richemont, già noto per le maison internazionali di orologi e gioielli, ha annunciato risultati che confermano un’accelerazione nel secondo trimestre dell’esercizio 2025/26, conclusosi a fine settembre. Dopo un incremento organico del 6 % nel primo trimestre, le vendite a cambi costanti sono salite al 14 % nel trimestre estivo.
Nel dettaglio, nei sei mesi fino al 30 settembre 2025 Richemont ha realizzato un fatturato di 10,62 miliardi di euro circa, registrando un aumento del 10 % a cambi costanti (+5 % a cambi effettivi) rispetto all’anno precedente. L’utile operativo è salito a circa 2,36 miliardi di euro, con una marginalità operativa che si attesta al 22,2 %. Il profitto netto è cresciuto in modo significativo, a 1,8 miliardi €, grazie anche al fatto che nel periodo precedente ricorrente erano presenti oneri straordinari.
La spinta maggiore viene dal comparto gioielleria (“Jewellery Maisons”), comprendente marchi come Cartier e Van Cleef & Arpels. Le vendite di questa divisione sono aumentate del 9 % a cambi effettivi, pari a +14 % a cambi costanti, e nel solo secondo trimestre la crescita è stata del +17 %.
Il segmento orologi (“Specialist Watchmakers”), che fino a poco tempo fa faticava, mostra finalmente segnali di ripresa: nei sei mesi le vendite sono diminuite del 2 % a cambi costanti, ma nel secondo trimestre hanno registrato un +3 %.
Anche la geografia globale ha contribuito: tutte le regioni principali hanno registrato crescita a doppia cifra nel Q2 a cambi costanti, trainate soprattutto dalla domanda locale più forte. Le Americhe e il Medio Oriente/Africa spiccano con tassi rispettivamente prossimi al +18 % e +19 % su base annua, mentre l’Europa ha segnato un +11 %. La regione Asia-Pacifico ha registrato una crescita più contenuta (+5 % a cambi costanti), mentre il Giappone presenta ancora un calo.
Le sfide all’orizzonte
Nonostante i risultati positivi, Richemont non nasconde le difficoltà: la marginalità lorda è scesa al 65,3 % dal 67,2 % dell’anno precedente, a causa di movimenti valutari avversi, costi più alti delle materie prime (oro in primis) e l’introduzione di dazi statunitensi sui prodotti “Swiss-made”. L’azienda stima che tali dazi potrebbero costarle circa 300 milioni di euro nel corso dell’anno, se non cambia l’assetto.
In un contesto globale segnato da fragilità economiche, incertezza sui consumi internazionali e tensioni commerciali, Richemont ha saputo dimostrare elasticità e vigore. Il suo portafoglio, centrato sulle eccellenze della gioielleria, si rivela meno vulnerabile di altri comparti del lusso – in particolare l’orologeria, ancora in fase di ripresa – e beneficia del ritorno della clientela asiatica, della spinta Americana e della domanda domestica più robusta.
Nel linguaggio si potrebbe dire che Richemont non sta soltanto “navigando la tempesta”, ma sta scegliendo la rotta con decisione, puntando su segmenti premium e su mercati geografici che mostrano segnali di rottura rispetto alla debolezza generale del lusso. Ciò non toglie che le nubi – materia prima, valuta, dazi – restino. L’assetto finanziario solido (cassa netta di oltre 6,5 miliardi €) gli conferisce però mani salde per continuare a investire, proteggersi ed eventualmente acquisire.
In definitiva, Richemont registra un cambio di passo. Il +14 % delle vendite nel Q2 è un segnale forte, da leggere come più di un semplice rimbalzo: è l’espressione di una strategia che negli ultimi anni ha favorito il segmento gioielleria, rafforzato la distribuzione diretta e puntato su mercati locali resilienti. Le vere incognite rimangono l’andamento dell’orologeria, le pressioni sui costi e l’evoluzione geopolitica. Per ora, però, la maison svizzera guarda al futuro con un sorriso moderato ma deciso.


