Secondo l’ultima analisi del MCO Report 2025, Milano si colloca in fondo alla classifica delle 15 città italiane più wine-friendly, ossia in quelle dove vino, enoteche e wine bar permeano con maggiore intensità e facilità la vita urbana. Sul podio risplendono Alba, Siena e Olbia, mentre Milano paga un prezzo salato — non tanto per mancanza d’offerta, quanto per l’equazione “densità/popolo + prezzi elevati”.
Per capire il fenomeno occorre osservare vari livelli: la mutazione dei comportamenti generazionali, la compressione del potere d’acquisto e il ruolo crescente delle bevande analcoliche o a basso contenuto alcolico. L’evoluzione del gusto sta ridefinendo cosa significhi “bere bene” in città.
Il confronto con le altre città
Nella graduatoria MCO, ogni località è valutata su tre criteri fondamentali: numero di wine bar ed enoteche rapportato alla popolazione, qualità percepita (rating utenti) e prezzo medio della bottiglia. Milano, pur vantando molte strutture enologiche in termini assoluti, perde terreno nei rapporti relativi.
Alba si impone con un punteggio di 6,34, sostenuta dal legame profondo con il territorio vitivinicolo delle Langhe. Siena segue a 6,04, grazie all’intreccio fra enogastronomia toscana e appeal turistico. Olbia sorprende come rivelazione: una città non nota come capitale del vino, ma capace di sviluppare una rete robusta di wine bar e locali legati al vino.
La debolezza milanese emerge più chiaramente considerando la densità di locali: il denominatore (popolazione) è enorme, e ciò schiaccia il peso del numeratore (numero di wine bar). In aggiunta, i costi medi delle bottiglie in città superano molti altri centri, penalizzando l’“accessibilità” percepita dal consumatore medio.
Non mancano critiche alla metodologia: alcuni esperti del settore sottolineano che la formula penalizza per forza le metropoli densamente popolate e che una classifica del genere rischia di non cogliere aspetti qualitativi rilevanti.
Un cambio generazionale al bicchiere
Il vincolo “Milano ultima città wine-friendly” non può essere compreso senza guardare ai dati europei sui trend delle bevande. Secondo lo studio Silent Revolution of Beverages di Circana, il 71 % degli europei afferma di acquistare, conservare o consumare meno alcol rispetto al passato.
Tra i 25 e i 35 anni, una quota significativa — quasi un quarto — dichiara di aver abbandonato del tutto l’acquisto di bevande alcoliche.
Nel complesso del mercato europeo, il segmento delle bevande analcoliche e a basso contenuto alcolico cresce del +5,1 % in valore, mentre gli alcolici arretrano dell’1,8 %. Ciò porta il mercato analcolico a rappresentare ormai quasi il 60 % della quota totale del settore bevande.
Tra le alternative in auge: mocktail, tè freddi “instagrammabili”, bevande funzionali con ingredienti vegetali, acque vitaminizzate, fermentati leggeri come kombucha. Le ragioni sono articolate: ricerca di leggerezza, approccio salutistico, estetica visiva, adesione a stili di vita consapevoli.
A Milano questa spinta verso l’analcolico si affianca alla difficoltà della bottiglia “classica” nei ristoranti generici: nei locali, il vino perde terreno e viene percepito da sempre più persone come un extra premium anziché una componente ordinaria dell’esperienza conviviale. Secondo alcune analisi locali, il consumo di vino nei ristoranti milanesi sarebbe diminuito fino al 30 %.
Cosa si può fare — prospettive per Milano
Milano ha tutti i presupposti per restare un riferimento del vino urbano: turismo internazionale, scena gastronomica vivace e capitale dell’innovazione culturale. Ma serve un adattamento del modo con cui il vino è proposto — e percepito — nel quotidiano.
- Ridurre la distanza percepita: favorire bottiglie “di zona”, formule degustative, calici sotto quota elevata, promozioni accessibili.
- Integrare il vino con il racconto urbano: un wine bar non come boutique chiusa, ma come spazio sociale e visibile; eventi legati al vino nei quartieri, percorsi tematici che colleghino enologia e cultura urbana.
- Sperimentazione analcolica vinosa: investire in alternative “nolos” (no/low alcohol) che parlino anche al pubblico che già si sta orientando verso soluzioni leggere.
- Comunicazione contemporanea: il linguaggio del vino deve dialogare con le generazioni under 35, con estetiche visuali e narrazioni che vanno al di là del terroir e del legame tradizionale.
Se Milano saprà reinterpretare la bottiglia (o il calice) per la generazione che beve meno e cerca storie più contemporanee, potrà risalire rapidamente la classifica del vino urbano. Se preferirà restare ancorata a codici “alte carte” destinati solo a una nicchia, rischierà di restare sempre in coda.


