Caro energia, inflazione delle materie prime e manodopera carente. Sono questi i principali fattori che negli ultimi anni hanno messo a dura prova l’industria italiana del food & beverage. Ma non sono gli unici. A incidere sulla tenuta operativa delle imprese ci sono anche problemi legati all’approvvigionamento, ai cambiamenti climatici, agli scenari geopolitici instabili e all’incertezza monetaria. Un contesto complesso, fotografato nel report 2025 firmato The European House – Ambrosetti, che evidenzia le sfide e le evoluzioni in atto nel comparto.
Secondo un’indagine condotta da TEHA Group su un campione di aziende italiane del settore, il rincaro dell’energia è stato percepito come il nodo più critico per il 62,4% degli intervistati, con un impatto particolarmente marcato nel comparto alimentare. Subito dopo, l’aumento dei costi delle materie prime (46,6%) e la crescente difficoltà nel reperire personale (24,7%).
Un clima di incertezza che non accenna a diminuire
L’effetto domino delle crisi recenti – dalla pandemia ai conflitti internazionali, fino agli eventi climatici estremi – ha contribuito ad alimentare il senso di instabilità tra gli operatori. Il 36,5% delle aziende si dichiara oggi preoccupato per la continuità produttiva, con punte del 45,4% al Sud e nelle Isole. I comparti più colpiti: ortofrutta (90%), lattiero-caseario (72,6%) e carni (62,9%).
Le contromosse delle imprese: investimenti e sostenibilità
Nonostante le difficoltà, quasi un’impresa su cinque ha avviato nuove strategie per adattarsi al contesto. Il 37,7% ha investito in innovazioni di processo, mentre il 36,8% ha puntato su nuovi prodotti. Il tema centrale, però, resta la sostenibilità: il 64% delle aziende sta già attuando – o si prepara a farlo – misure per ridurre l’impatto ambientale. Tra le priorità, l’efficienza energetica e l’adozione di pratiche di economia circolare. Nelle grandi imprese (oltre 250 dipendenti), l’impegno green è ormai generalizzato.
Cambia anche il consumatore: più attenzione a origine e tracciabilità
Le preferenze dei consumatori stanno premiando trasparenza, filiere locali e sostenibili. Cresce l’interesse per i prodotti a km zero (+7,8%), per il made in Italy (+7,5%) e per la tracciabilità (+10,7%). In aumento anche la domanda di cibi essenziali e a basso costo, senza però penalizzare le fasce premium, il biologico e le private label, che segnano un trend positivo.
Un dato su tutti conferma il paradosso del settore: mentre aumenta l’attenzione all’ambiente, il 37% delle imprese denuncia la scarsa disponibilità dei consumatori a pagare un prezzo più alto per prodotti sostenibili. Una tendenza particolarmente evidente nel comparto ittico (87,4% delle aziende segnala un calo), seguito da lattiero-caseario (75,5%). Fa eccezione il settore carne, dove il 52,8% registra invece un incremento nella disponibilità a investire in sostenibilità.
Solo il 14,6% degli imprenditori ritiene adeguate le politiche pubbliche attuali per sostenere la doppia sfida di competitività e sostenibilità. Le critiche più dure arrivano da ittico (97,1%), ortofrutta (96,9%) e carni (95%). Il messaggio è chiaro: senza un supporto più incisivo, il rischio è che la sostenibilità rimanga un obiettivo sulla carta.
Tra le richieste principali delle aziende: incentivi specifici per la transizione green (31%), misure contro l’inflazione (25%) e interventi per migliorare la tracciabilità (22%). La ripartenza del settore, sottolineano gli analisti, non potrà prescindere da un rinnovato protagonismo delle istituzioni, chiamate a sostenere concretamente il cambiamento.