Le Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma presentano “Caravaggio 2025”, una mostra curata da Francesca Cappelletti, Maria Teresa Terzaghi, Thomas Clement Salomon, che racconta la forza innovatrice di questo straordinario artista nel panorama artistico, religioso e sociale del suo tempo, riportando, in un luogo simbolo della connessione tra il pittore e i suoi mecenati, capolavori riscoperti ed esposti per la prima volta in Italia, accanto ad opere appartenenti a collezioni private raramente visibili e ad altre entrate nell’immaginario collettivo, vere e proprie pietre miliari della storia dell’arte. In mostra, tra gli altri, anche il Ritratto di Maffeo Barberini, recentemente svelato al pubblico, e l’Ecce Homo, riscoperto a Madrid nel 2021, che rappresenta un ritorno in Italia dopo quattro secoli.
Fino al 6 luglio prossimo a palazzo Barberini sarà possibile visitare questa straordinaria mostra, promossa dalle Gallerie Nazionali di Arte Antica, in collaborazione con la Galleria Borghese, con il supporto della Direzione Generale Musei Ministero della Cultura e con il sostegno del main partner Intesa Sanpaolo.
Caravaggio 2025 rappresenta uno dei progetti più ambiziosi mai dedicati alla pittura di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio (1571-1610), mostra capace di proporre una riflessione nuova e approfondita sulla rivoluzione artistica e culturale operata dal maestro lombardo, esplorando, in un contesto senza precedenti per ampiezza, straordinarietà, l’innovazione che introdusse nel panorama artistico, religioso e sociale del suo tempo.
Tra le opere in esposizione un posto particolare è senz’altro occupato dal Ritratto di Maffeo Barberini, pubblicato da Roberto Longhi nel 1963 e mai esposto al pubblico fino a pochi mesi fa, dall’Ecce Homo, recentemente riscoperto nel 2021, che torna in Italia dopo quattro secoli, e dalla prima versione della Conversione di Saulo della Cappella Cerasi, difficilmente accessibile perché conservata in una dimora privata.
Accanto a dipinti quali il San Francesco in meditazione, al San Giovanni Battista, alla Giuditta e Oloferne e al Narciso, che fanno parte della collezione permanente delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, troviamo alcuni capolavori che tornano a casa quali I Bari, I Musici, la Santa Caterina d’Alessandria, acquistati da Antonio Barberini nel1628 dalla collezione del Cardinal del Monte.
Il percorso si articola in quattro sezioni e guida il pubblico alla scoperta dell’intera parabola artistica del Merisi, coprendo un arco cronologico di circa quindici anni, dall’arrivo a Roma intorno al 1595 alla morte a Porto Ercole nel 1610.
Nella prima parte, dedicata al debutto romano, l’esposizione affronta gli anni dell’arrivo a Roma, verosimilmente nel 1595, e i primi passi in città, tutt’altro che semplici.
Nonostante fosse un pittore già formato, cresciuto nella bottega milanese di Simone Peterzano, allievo di Tiziano, i biografi concordano nell’affermare che Caravaggio fu inizialmente costretto a vivere di espedienti, realizzando quadri per pochi soldi. Molto probabilmente, a partire dall’estate dello stesso anno, transitò anche nella bottega del noto e ammirato pittore Giuseppe Cesari, detto Cavalier d’Arpino, dal quale venne impiegato per dipingere fiori e frutti. Nonostante il rapporto tra i due si sia chiuso bruscamente nel giro di otto mesi, la produzione di Naturalia lascerà tracce importanti e profonde nella prima produzione caravaggesca, come appare evidente nelle bellissime nature morte del Mondafrutto e del Bacchino malato, per la prima volta esposte insieme.
Alcuni fortunati incontri, con il pittore Prospero Orsi esperto di Grottesche, e con Costantino Spada, rigattiere e mercante dei suoi primi dipinti, permisero a Caravaggio di entrare, intorno all’estate del 1597, in contatto con il più prestigioso committente, il raffinato ed eclettico cardinale Francesco Maria del Monte, cultore anche di musiche e di canto, cui appartennero I Musici, la Buona Ventura e i Bari, capolavori di quella “pittura comica” che caratterizza la fase giovanile di Caravaggio, contraddistinta da un uso della luce ancora lontano dai possenti chiaroscuri della maturità. Parallelamente Caravaggio avviò il rapporto con il banchiere Ottavio Costa, proprietario del bellissimo San Francesco in estasi, primo esempio di opera sacra eseguita dall’artista a Roma.
A suggellare il successo di Caravaggio nell’Urbe, nel 1600, a un anno dalla prima commissione pubblica per la chiesa di San Luigi dei Francesi, fu l’incarico di dipingere due tavole per la cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo: La Crocifissione di San Pietro e la Conversione di Saulo, di cui viene esposta ora eccezionalmente a palazzo Barberini la prima redazione, che si differenzia dalla versione finale per il supporto utilizzato, una tavola di legno cipresso di grandi dimensioni (237×189 cm) molto più preziosa della tela.
Nella sezione intitolata “Ingagliardire gli oscuri” la mostra introduce la rara produzione ritrattistica del Caravaggio che, come dimostrano le fonti archivistiche e le stampe, doveva essere molto ricca e stimata, ma di cui sono giunte fino a noi pochissime testimonianze.
L’esposizione offre l’occasione unica di vedere accostate per la prima volta due versioni del ritratto di Maffeo Barberini, provenienti entrambe da collezioni private. Come attesta Giulio Mancini, il pittore ha ritratto Maffeo Barberini in più di un’occasione. Qui abbiamo la nota versione “Corsini”, attribuita a Caravaggio da Lionello Venturi (1912), Gianni Papi e Keith Christiansen nel 2010, esposta accanto a quella recentemente presentata al pubblico a oltre sessanta anni dall’attribuzione e riscoperta da Roberto Longhi (1963), unanimemente condivisa da tutti gli studiosi. In quest’ultimo dipinto è evidente il naturalismo rivoluzionario della pittura del Merisi, nel cui ambito il ritratto sembra aver svolto un ruolo molto importante, nonostante fosse ritenuto un genere minore.
L’artista non si limitò a ritrarre nobili prelati o illustri personaggi, ma usò, anche per i dipinti a soggetto religioso, persone appartenenti ai ceti sociali più umili, eternandone per sempre la memoria. È il caso della bellissima modella che presta la sua immagine per Marta e Maria Maddalena, Giuditta che decapita Oloferne e Santa Caterina d’Alessandria, forse identificabile con la celebre cortigiana Fillide Melandroni.
Tra questi dipinti la Santa Caterina riveste un ruolo particolarmente importante poiché, a partire da esso, secondo il Bellori, biografo dell’artista, prende avvio quel modo di “ingagliardire gli oscuri” che avrebbe caratterizzato tutta la sua produzione successiva, giungendo a piena maturazione nelle imponenti tele per la cappella Contarelli tuttora visibili nella chiesa di San Luigi dei Francesi.
La sezione espositiva “Il dramma sacro tra Roma e Napoli” parte idealmente dalla prima commissione pubblica ottenuta da Caravaggio nel 1599, grazie all’intermediazione del cardinale del Monte : le tele della cappella Contarelli nella chiesa di San Luigi dei Francesi. Il ciclo dedicato a San Matteo rappresentò una vera sfida per il Merisi, che per la prima volta si confrontò con quadri di soggetto storico, e costituì anche uno spartiacque nella sua produzione, perché da quel momento si sarebbe dedicato quasi esclusivamente a temi sacri, dando avvio a quello stile tragico caratteristico della sua produzione. In questa sezione sono esposte alcune tra le opere religiose più emblematiche del Merisi maturo all’apice del successo, che annoverava tra i suoi committenti personaggi di spicco quali Ciriaco Mattei e Ottavio Costa, per i quali realizzò rispettivamente “La cattura di Cristo” e il “San Giovanni Battista” della collezione del The Nelson- Atkins Museum of Art a Kansas City nel Missouri, quest’ultimo affiancato dal dipinto con lo stesso soggetto conservato alle Gallerie Nazionali di Arte Antica.
Nella tarda primavera del 1606, tuttavia, la vita del pittore subì una svolta drammatica quando, durante una partita di pallacorda, uccise Ranuccio Tomassoni. Il Merisi fu costretto a fuggire da una condanna alla pena capitale rifugiandosi prima nei feudi laziali dei Colonna, dove realizzò “La cena di Emmaus” e il San Francesco in meditazione. Secondo alcuni studiosi a quegli anni potrebbe risalire il David e Golia della Galleria Borghese, dipinto in cui, raffigurando se stesso nei panni di Golia, l’artista mette in luce la sua esigenza di espiazione.
Pochi mesi dopo il pittore era a Napoli, città dove fu molto apprezzato e dipinse opere mirabili come l’Ecce Homo, recentemente rinvenuto in Spagna, e uno dei suoi capolavori, la Flagellazione, realizzata per la cappella di San Domenico Maggiore.
La fase finale della vita dell’artista viene affrontata nell’ultima parte della mostra, dal titolo “Finale di partita”. L’artista, animato dal costante desiderio di ritornare a Roma, lasciò Napoli e salpò per Malta nell’estate del 1607, sperando di entrare a far parte dell’Ordine dei Cavalieri Gerosolimitani, provando così ad ottenere il perdono di Papa Paolo V Borghese. Grazie ad opere come il Ritratto di cavaliere di Malta, il Merisi ottenne il cavalierato , ma venne poi incarcerato in seguito ad una rissa con un altro membro dell’Ordine. Nuovamente costretto alla fuga, si diresse prima in Sicilia, a Siracusa e Messina, poi nuovamente a Napoli, dove realizzò le ultime opere, tra le quali il San Giovanni Battista della Galleria Borghese e il Martirio di Sant’Orsola, dipinto per Marcantonio Doria pochi giorni prima del suo tragico viaggio, quando, nel 1610, salpò per Roma, dopo aver ricevuto la notizia del perdono papale. Portò con sé su una feluca alcuni dipinti da donare al Cardinal nipote Scipione Borghese, tra cui il San Giovanni Battista. Purtroppo Caravaggio non riuscì a coronare il suo sogno di tornare e, benché i suoi ultimi giorni siano avvolti nel mistero, è probabile che, sbarcato a Palo, sia stato trattenuto per alcuni controlli o arrestato. Una volta rilasciato morì sulla via di Porto Ercole a soli 39 anni.
Venticinquesima opera della mostra è rappresentata dal Giove, Nettuno e Plutone, l’unico dipinto murale eseguito da Caravaggio nel1597 circa all’interno del Casino dell’Aurora, a Villa Ludovisi a Porta Pinciana su commissione del cardinal del Monte, per il soffitto del camerino in cui questi si dilettava di alchimia. L’opera raffigura, infatti, un’allegoria della triade alchemica di Paracelso, con Giove personificazione dello zolfo e dell’aria, Nettuno del mercurio e dell’acqua, e Plutone del sale e della terra.